Sull’Iran anche Grossman appoggia Netanyahu: gli Usa sono ingenui

Taccuino

di Paolo Salom

La sottile polvere della polemica non si è ancora del tutto dissipata a pochi giorni dal “temerario” discorso di Binyamin Netanyahu davanti al Congresso americano in seduta comune. Tema: l’Iran. Vogliamo provare a vedere come il lontano Occidente ha assistito all’evento diplomatico? Sappiamo che le voci contro sono state più numerose delle voci a favore. La deputata italo-americana Nancy Pelosi ha chiarito senza dubbi cosa ne pensasse: «Un insulto all’intelligenza degli Stati Uniti». Perché? «Sono rattristata dall’aria di superiorità, dalla boria, dalla sufficienza verso la nostra consapevolezza della minaccia posta dall’Iran e verso il nostro grande impegno a prevenire la proliferazione nucleare». I commenti sfavorevoli nei confronti della «lezione» che il premier israeliano avrebbe dato all’Amministrazione americana sulla politica mediorientale non sono mancati nemmeno in Europa. «Aumentare la paura – ha detto Federica Mogherini, Alto rappresentante per la politica estera dell’Ue – non è appropriato, in questi momenti in cui lavoriamo a un accordo che garantisca non solo la sicurezza della regione, ma di tutto il mondo».

Strani tempi questi, per il lontano Occidente. Abbiamo una guerra (civile?) in corso ai confini del Vecchio Continente (nonostante la tregua, le armi continuano a farsi sentire nell’Est dell’Ucraina), una guerra che non sappiamo come fermare (la Russia è una Potenza mondiale, altro che Israele…), e tuttavia le reazioni a un discorso sensato (e certamente scritto con una ampia dose di «furbizia» politica, questo è innegabile) appaiono fuori registro. A riprova di questa tesi, ci sono le parole di David Grossman, scrittore che non ha mai fatto mistero della sua ostilità a Netanyahu e uomo che certo non si può ascrivere alla destra israeliana. Cito dall’intervista di Fabio Scuto su Repubblica di giovedì 5 marzo: «Penso – dice Grossman –che Netanyahu abbia individuato correttamente il modo maldestro e direi persino ingenuo con cui gli Stati Uniti conducono le trattative. Dimostrando un’ingenuità addirittura delittuosa nel tentare di capire la complicazione medio-orientale: hanno fallito gravemente in Egitto, in Siria, in Iraq. Hanno fallito e continuano a fallire di fronte all’Iran. Netanyahu ha ragione quando sostiene che dopo dieci anni in cui gli Usa hanno preteso di mettere alla prova l’Iran, non esiste nessuna sanzione che impedisca a quel Paese di diventare una potenza nucleare. E su questo in Israele non ci sono differenze fra destra e sinistra, non ci può essere tolleranza».

È scioccante vedere quanto distante, tra Israele e il lontano Occidente, sia la percezione del pericolo rappresentato da un regime tirannico, noto per il suo utilizzo cinico e barbaro del terrorismo, a proposito del nucleare. C’è da chiedersi perché gli Stati Uniti, o meglio la sua Amministrazione, perseguano con tanta pervicacia la strada di un accordo a qualsiasi costo, un accordo che forse proietterebbe l’attuale presidente nella Storia (ma ne siamo poi sicuri?) ma lascerebbe aperte e insolute le principali questioni.

Dunque? Perché tanta animosità verso Israele? In fondo, cosa c’è di strano se un Paese in prima linea di fronte alla protervia degli ayatollah cerca di difendere i propri interessi strategici, la propria stessa sopravvivenza? Una risposta definitiva, temo, non esiste. Tuttavia, osservando le scelte americane nel teatro mediorientale, la quasi-alleanza con l’Iran di fronte all’espandersi delle milizie dello Stato islamico, viene in mente il gioco del tiro alla fune: per vincere hai bisogno dei più forti. Per uscire dalla metafora: in diplomazia contano le dimensioni. E la Potenza-Iran, agli occhi dell’attuale Amministrazione Usa, vale più della (mini) Potenza-Israele. Per fortuna, in diplomazia valgono anche (e soprattutto) le alleanze. E il pericolo di una Teheran con la Bomba sta agendo come un volano su antichi avversari che (speriamo proficuamente) si ritrovano dalla stessa parte della barricata (Arabia Saudita, Giordania, Egitto e Israele). Ma tutto questo, al lontano Occidente, sembra interessare poco.