Gli Usa, le esequie di Shimon Peres e quel pasticciaccio brutto del mancato riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele

Taccuino

di Paolo Salom

Dove si trova Gerusalemme? Domanda tutt’altro che inopportuna a giudicare da quanto successo al funerale dell’ex presidente israeliano Shimon Peres. Cerimonia peraltro indicativa del buono stato di salute delle relazioni dello Stato ebraico con il mondo (libero). Circa sessanta tra capi di Stato e governo, passati e presenti, infatti, hanno preso l’aereo con un minimo preavviso pur di presenziare alle esequie dell’ultimo padre di Israele. Obama compreso. E proprio Obama ci dà lo spunto per la domanda iniziale: dove si trova Gerusalemme? È lecito chiederselo perché, finiti i saluti solenni a Peres, la Casa Bianca, come è costume, ha rilasciato copia del discorso funebre del presidente americano. Sul foglio, in una prima versione, figurava in testa la data: “Jerusalem, Israel”. Disastro: un vero e proprio panico si è diffuso quando un anonimo funzionario si è accorto dell’”errore” capace di far scoppiare un putiferio (diplomatico).
Già, perché la Comunità internazionale non riconosce Gerusalemme come capitale dello Stato di Israele. Dunque, il foglio è stato rapidamente ritirato per poi essere restituito “corretto” ai giornalisti: la parola “Jerusalem” intatta, ma una vistosa linea di inchiostro nero a cancellare “Israel”. Ridicolo? Sì, parecchio. Perché il discorso di Barack Obama non legittimava in alcun modo le aspirazioni israeliane alla propria capitale. Si limitava a indicare che Gerusalemme è in Israele. Una tautologia difficile da confutare, tanto più che Har Herzl, dove il feretro di Peres è stato seppellito, si trova come è noto a Gerusalemme Ovest. Difatti, secondo quanto hanno riportato le cronache, anche i reporter solitamente più critici si sono sorpresi della goffa correzione.
Dunque? Siamo alle solite. Nel lontano Occidente si utilizza un metro per trattare con e di Israele, un altro per tutto il resto. E se vogliamo essere onesti fino in fondo, l’affollamento alle esequie di Shimon Peres, uomo di Stato amato più all’estero che in Patria (tanto che non ha mai vinto un’elezione) fa contrasto con i pochi intervenuti in morte di un altro grande di Israele, Ariel Sharon (al cui partito, Kadima, badate bene, aveva aderito negli ultimi anni lo stesso Peres). Qui il discorso si fa delicato. E si allarga al concetto dell’ebreo “buono”, quello che parla di pace come piace al lontano Occidente, in contrasto all’ebreo “cattivo”, che ne parla, sì, ma in coda alle necessità di sicurezza. Ne riparleremo.