Coltelli (e verità capovolta) contro Israele

Taccuino

di Paolo Salom

«Vogliamo vivere in pace con i nostri vicini israeliani, anche per le generazioni che verranno. Ringrazio gli Stati che hanno votato per il riconoscimento della Palestina all’Onu. Il governo di Israele deve prendere un impegno per la pace e incontrare il presidente Abu Mazen. È il momento propizio per un passo coraggioso. Tutti i paesi del Medio Oriente hanno bisogno della pace».
Belle parole, vero? Sapete chi le ha pronunciate, lo scorso luglio, durante una visita a Casa Corriere, presso l’Expo? L’ambasciatrice palestinese in Italia, Mai Al Kaila. La stessa Mai Al Kaila che, pensate come può cambiare verso la diplomazia, nel suo account Facebook (qui il link), ha appena condiviso la foto di un bambino (palestinese, si capisce) dell’apparente età di 5, massimo 6 anni, ripreso di spalle con le mani pronte a lanciare sassi contro la polizia israeliana. Le parole che accompagnano la foto, in arabo, sono meno “pacifiche” e se la prendono naturalmente con “la vile occupazione” israeliana. Per poi glorificare l’azione del bambino che “invece di andare a scuola e vivere la sua infanzia, difende la sua patria”.

Ecco, la rappresentante dei palestinesi in Italia, mentre si moltiplicano i folli attacchi di giovani arabi contro chiunque sembri loro un ebreo (oggi, lunedì, tra i tanti, un ragazzino di 13 anni è stato accoltellato più volte a Pisgat Zeev ed è in condizioni disperate), invece di provare a parlare di pace, calmando gli animi (come ha provato a fare il coraggioso sindaco arabo di Nazareth), pubblica la foto di un bambino che ha da poco imparato a mangiare da solo ma è già pronto “alla guerra”. È accettabile tutto ciò? Cosa dice il lontano Occidente di questa folle situazione? Se aprite i siti o i giornali capirete che, come ha riassunto bene una vignetta a dir poco sarcastica, i cattivi israeliani stanno facendo di tutto per finire con le loro gole sui coltelli dei palestinesi. La verità, e cioè che queste aggressioni sono il frutto dell’odio anti ebraico coltivato a partire dall’asilo nei territori palestinesi e giunto al suo naturale sbocco (i multipli tentati e, spesso, riusciti omicidi di persone inermi), non la troverete da nessuna parte. E non si venga a dire che le reazioni dei poliziotti sono esagerate: cos’altro si può fare contro attacchi ripetuti all’arma bianca? Una mossa di jiu-jitsu?

E tuttavia nel lontano Occidente le notizie in arrivo dal Medio Oriente si capovolgono, come in una camera oscura: quel che sta sopra passa di sotto, quel che è bianco diventa nero e le vittime (gli israeliani) si trasformano in aggressori mentre gli aggressori (gli arabi) vengono raccontati come vittime. Io non mi stancherò mai di ripeterlo: il lontano Occidente, con il suo atteggiamento a metà tra il pavido e il complice, non aiuta la “causa” dei palestinesi. Solo la verità, oggi, può fare la differenza. Persino convocare l’ambasciatrice Mai Al Kaila alla Farnesina, il nostro ministero degli Esteri, per dirle che mandare i bambini a tirare i sassi non è la strada giusta per raggiungere quella pace di cui parla così spesso nelle occasioni pubbliche. Accadrà? A voi la risposta.