La saggezza della Cabala per guarire corpo, cuore e anima

di Fiona Diwan

“È stato rav Adin Steisaltz a darmi la spinta, a incoraggiarmi. Tu devi gettare ponti, mi disse. È il tuo compito, in questa vita. Creare ponti tra ebrei-laici e Torà. Tra mondo ebraico e goyim. Esiste una tradizione terapeutica ebraica che pochi conoscono ma che è assolutamente moderna e universale. E se è vero che ciascuno di noi ha un lavoro da portare a termine, beh allora il mio forse è quello di fare conoscere a tutti e divulgare questa tradizione di studio e di guarigione fisica e spirituale. Perché, come diceva il grande filosofo ebreo livornese Elia Benamozegh, ‘l’ebraismo non è solo una religione, una politica, una letteratura, una legislazione ma è una scienza, una cura del corpo e dello spirito, è prevenzione e conoscenza delle malattie’”.

A parlare così è Daniela Abravanel, studiosa di Qabbala, terapeuta, psicologa, discendente di quel leggendario Don Itzchak Abravanel -politico, finanziere, filosofo e poeta-, che nel 1492 usò tutto il suo potere per scongiurare l’espulsione degli ebrei di Spagna. Oggi Daniela Abravanel manda alle stampe un nuovo saggio molto interessante, I quattro mondi della Cabala e la guarigione, Edizioni Mamash, (gli altri sono Guarire per curarsi, Lulav-, Qabbala e trasformazione con le lettere ebraiche, Mamash).

Il libro rivela una versatilità intellettuale, un eclettismo che fanno di Abravanel una figura insolita nel panorama forse un po’ istituzionale del mondo ebraico milanese. Una forma mentis poco main stream la sua, che fa del sincretismo il proprio punto di forza, poliedrica e capace di spaziare nei saperi spirituali e mistici non solo dell’ebraismo ma anche delle altre tradizioni (e non solo esoteriche). “Credo che sia urgente oggi far uscire la Torà dal ghetto. Il mio maestro, rav Leon Ashkenazi (Manitu), ripeteva spesso una cosa: che se i rabbini la smettessero di parlare tra loro su come kasherizzare un pollo e iniziassero a aprirsi a tutti -anche ai goyim-, affrontando i veri bisogni esistenziali di chiunque, -come l’uscire da un lutto, da una separazione, dalla tristezza, dall’abbandono o dalla depressione-, se tutto questo avvenisse non ci troveremmo oggi chiusi in un hortus conclusus, soppiantati dai maestri yogi e dal buddismo nel primato contemporaneo della ricerca interiore e della spiritualità. E, come diceva rav Ashkenazi, il nostro ruolo non sarebbe stato assunto dal Dalai Lama e dagli psicanalisti. Non dimentichiamoci infatti che la parola Qabbala ha la stessa radice della parola makbil, parallelo: ed è l’invito a perlustrare altre realtà parallele e a metterle in relazione a ciò che dice la Torà”.

Laureata in Filosofia alla Statale di Milano con una tesi in Psicologia, un master in Terapia familiare sistemica a Burbank negli Stati Uniti, Abravanel ha lavorato anche nel Centro di terapia familiare all’ospedale Niguarda. “Fu in quel momento che mi accorsi che nel mio lavoro mancava qualcosa: la dimensione spirituale. Incominciò così un periodo di ricerca interiore molto ricco e fecondo: viaggiai in Centro America, in Asia, a Dharamsala, nel nord dell’India. Tornata a Milano mi dedicai allo studio della Torà e della tradizione ebraica. Mi cercai un maestro e andai in Israele: prima da Leon Ashkenazi a Mayanot, che aveva un approccio filosofico universalista e nel contempo profondamente sionista; poi con rav Itzchak Ginzburg affrontai lo studio della Qabbala che ho approfondito in seguito anche con rav Steinsaltz. Fino a quello che oggi considero il mio maestro disincarnato: Maimonide. Dopo aver scoperto l’incredibile attualità delle sue strategie terapeutiche (conosciute e citate persino dalla letteratura medica dello staff di dottori di Umberto Veronesi allo IEO), è iniziato un profondo dialogo con questo eccezionale padre della psiocosmatica. È stato così che ho indirizzato i miei studi sul tema della relazione tra corpo, psiche e anima. Il mio libro La Cabala e i 4 mondi della guarigione è frutto di questo personale percorso di introspezione e dall’esperienza diretta delle teorie psicosomatiche tratte dai Maestri e Qabbala. Lo abbiamo scordato ma l’ebraismo è anche un percorso di guarigione, e oggi ce lo vengono a ricordare tutti coloro che portano avanti terapie basate su un approccio olistico. Altro che preistorico! La contemporaneità dell’ebraismo è assoluta. La pratica medica moderna, basandosi quasi esclusivamente sugli esami diagnostici, ha creato una profonda alienazione nel rapporto medico-paziente, rapporto che è invece un elemento fondamentale per guarire.

Maimonide, da medico appassionato qual era, sosteneva tuttavia che una delle funzioni più importanti della propria professione è quella di rafforzare psicologicamente il proprio paziente insegnandogli a vivere in uno stato di equilibrio, serenità, fiducia. Maimonide insegnava che il ruolo del medico è liberare il paziente dall’ansia e restituirgli la fiducia nelle proprie capacità di autoguarigione. Senza contare poi che nella tradizione ebraica il corpo non è la prigione dello spirito ma la sua merkavà, il cocchio meraviglioso grazie al quale l’anima fa esperienza del mondo. Il corpo è per l’ebraismo lo specchio di tutte le contraddizioni interiori, degli squilibri affettivi, razionali e spirituali dell’uomo. Attraverso i sensi, è nel corpo che si iscrive il dialogo tra uomo e Dio (per Paolo di Tarso invece il corpo era un involucro spregevole, ‘io so che nella mia carne non abita il bene…, i desideri della carne portano alla morte’, scriveva). Ecco, io vorrei trasmettere ciò che ho sperimentato, ovvero che il sapere ebraico può aiutarci nella quotidianità e nelle relazioni, a migliorare la qualità della vita, a gestire le emozioni e lo stress, a mangiare in modo non nevrotico, ad esempio. Il rapporto con la Natura è Cura, perché è riconnessione al Divino (nella Ghematrià la parola natura, HaTeva ha lo stesso valore numerico -96- di Eloquim, il Divino). Ecco perché costruisco dei veri itinerari dell’anima in percorsi in mezzo alla natura: viaggi in Israele che sono percorsi di guarigione e conoscenza di sé. Molte pratiche e regole della Torat Haim -che molti ebrei considerano obsolete-, credo siano ancora attualissime: l’importanza del digiuno e di un corretto rapporto col cibo, l’insegnamento su come gestire un trauma, la sessualità, la pratica del perdono, della meditazione. Quanti sanno che la preghiera stimola la produzione di endorfine? Tutti strumenti di guarigione potentissimi, un patrimonio non solo ebraico ma dell’umanità, di cui oggi abbiamo ancor più bisogno che non 3000 anni fa”.

Tornata in Italia due anni fa, Abravanel oggi tiene corsi finalizzati a rendere accessibili le conoscenze dell’ebraismo a tutti coloro che sono desiderosi di avvicinarsi all’interpretazione del testo biblico (ma anche studio della Qabbala, della calligrafia ebraica, lo studio dei Salmi in chiave psicologica, recitazione e canto dei versi associati alle varie sofferenze fisiche o psichiche). Ma per Daniela Abravanel il viaggio mistico resta il più potente strumento di approfondimento spirituale e generatore di benessere, perché a partire da questa riconnessione geografica con alcuni luoghi di Israele è possibile ritrovare e fare emergere il proprio autentico Sé, il proprio centro vitale.

“Durante questi viaggi metto in contatto le persone con maestri, terapeuti, agopuntori, unendo scienza medica e approccio qabbalistico. Così ho aiutato uomini e donne affetti da problemi di sterilità, di bulimia, con dolori mestruali invalidanti, puntando a ribaltare il rapporto che avevano col proprio corpo”. Abravanel infatti organizza viaggi di studio e purificazione nelle acque del Mar Morto, a Ein Gedi, Qumran, Gerusalemme, a Tiberiade e Zfat, con stage di meditazione, incontri con terapeuti e rabbini qabbalisti. “Non è stato facile per me lasciare Israele e tornare in Italia, dopo vent’anni. Erez Israel è per me una specie di trasposizione geografica dell’Albero della Vita, con una sua energia, e ciascun luogo che corrisponde a una diversa Sefirà: ad esempio se il Lago di Tiberiade corrisponde alla Sefirà di Tiferet e all’organo del cuore, il mar Morto corrisponde ai reni e alla Sefirà di Malchut, il Regno, la Sefirà più bassa di tutte, così come il Mar Morto è il luogo più basso della Terra. È da lì che può nascere la guarigione, così come in ogni potente crisi individuale è possibile trovare l’ispirazione per rinascere, per ricostruire il nostro regno, la nostra integrità e salute”.