Feinberg

Feinberg, che visse e amò al galoppo

di A. S.

Feinberg
Feinberg

Muore giovane chi è caro agli dei. C’era commozione, all’inizio di gennaio, attorno alla tomba di Avshalom Feinberg, nel cimitero del Monte Herzl di Gerusalemme, nel 94esimo anniversario della sua morte. Centinaia di persone si sono radunate per rendere omaggio alla figura di un eroe nazionale, due volte strappato all’oblio.

La figura dell’avventuriero romantico, idealista e rubacuori, tanto veloce nell’usare la pistola quanto la penna, ha spesso catturato la fantasia di molti narratori. In Italia ne ha scritto in modo appassionante Massimo Lomonaco (Nili, Mursia), mentre in Israele Feinberg è uno dei protagonisti di due romanzi recenti: Rosso antico di Gabriella Amigur-Rotem e Lettera da Abshalom di Nava Macmel-Atir.

Nato a Ghedera (Neghev settentrionale), nel 1889, all’età di due anni Avshalom si trasferì con i genitori a Jaffa. Tenendolo sulle ginocchia, il nonno gli insegnava la Bibbia. Ma nella scuola elementare a cui fu iscritto si parlava arabo e si insegnava il Corano. A dodici anni Avshalom fondò con gli amici una “organizzazione” che si prefiggeva una “Terra d’Israele libera”. Cagionevole di salute fu però mandato a Parigi, dove apprese il francese. Ci furono poi un interludio di lavoro al Cairo; un soggiorno in Svizzera; e quindi un ritorno a Parigi.

Non stupisce dunque che quando nel 1910 Avshalom varcò i cancelli della Stazione sperimentale agricola di Atlit (a sud di Haifa), fece subito colpo sul celebre agronomo Aharon Aharonson, che lo volle come segretario personale. Nella vicina cittadina di Zichron Yaakov, Avshalom faceva intanto girare la testa alle ragazze. Certo a Rivka Aharonson (con cui si fidanzò) ma probabilmente anche a Sarah Aharonson, che è ancora oggi considerata una specie di Mata Hari locale: donna moderna, evoluta, affascinante, abile nello spionaggio, accesamente anti-turca dopo aver assistito di persona alle stragi degli armeni. Fu lei (più dei suoi compagni maschi) la vera anima del gruppo Nili; ma allora era già una donna maritata. L’agronomo Aharon invece godeva di grande stima da parte del regime ottomano del tempo, per aver scoperto una nuova specie di grano. Ma nel loro intimo Aharon e la sorella Sarah cercavano di escogitare una strada che mettesse fine alla presenza turca in Palestina. A sua volta, il bollente Feinberg proponeva di fomentare in qualche modo una insurrezione anti-turca. Gli Aharonson, più prudenti, preferirono cercare contatti con l’intelligence della Gran Bretagna nella speranza che dall’Egitto le forze britanniche sarebbero poi avanzate nel Neghev ed avrebbero espulso i turchi.

Negli anni 1915-16 la cellula clandestina “Nili” degli Aharonson cercò dunque di stringere i legami con gli inglesi che dapprima erano molto dubbiosi sull’utilità del contatto, ma che in seguito ricevettero da quel gruppo rapporti di intelligence molto interessanti e utili. Si arrivò così al 19 gennaio 1917 quando Feinberg e il suo compagno Yosef Lishansky galoppano, vestiti da beduini, da Hadera verso Gaza, nell’intento di raggiungere l’Egitto per riprendere i contatti con i britannici. Ma giunti nelle dune di Rafah, a sud di Gaza, restano disorientati. Poi, in uno scontro a fuoco con i beduni, Avshalom perde la vita. Lishansky riusce invece a scappare, ma per decenni si portò addosso il sospetto di aver lui stesso eliminato Avshalom: forse per una questione di gelosia.

Ma la storia non finisce qui. La leggenda continua con un altro episodio.

Mezzo secolo dopo, con la Guerra dei Sei giorni, le truppe di Moshe Dayan occupano la striscia di Gaza. A Rafah c’è un palmeto detto la “Tomba dell’ebreo”. Scavando fra le radici i militari trovano uno scheletro. Sono i resti di Feinberg che, secondo la versione corrente, prima di partire in missione aveva ricevuto da Sarah Aharonson alcuni datteri da mangiare in viaggio. Li aveva riposti nella tasca della camicia: da uno dei noccioli si sarebbe poi sviluppato l’albero cresciuto nel deserto.

All’epoca Israele trattenne il fiato, si appassionò, amò questo eroe nuovo, sopraggiunto così, alla chetichella, bello, colto, raffinato e canagliesco come Indiana Jones. Per Feinberg vennero tenuti funerali ufficiali, sul Monte Herzl di Gerusalemme, nel Cimitero delle figure-mito di Israele. Un gesto tutto sommato inaspettato perché “Nili” aveva agito spesso in contrasto con i vertici politici ebraici dell’Yishuv e il ricordo dei suoi leader -a tutt’oggi- non viene particolarmente instillato nella nuova generazione. In nessuna città c’è una via o una piazza intestata agli Aharonson. Nella stessa Zichron Yaakov “Casa Aharonson” è un museo di modeste dimensioni. A Hadera, “Casa Feinberg” è stata restaurata e aperta al pubblico solo di recente.

Non c’è dunque troppo da stupirsi se col passare del tempo il ricordo di Feinberg si sia offuscato e poi perduto ancora una volta. Nei primi anni dopo l’inumazione sulla sua tomba arrivarono i parenti diretti. Ma con la loro morte, il sepolcro è caduto in abbandono. Finché, un giorno recente, nel liceo di Ofra (Cisgiordania), due studentesse ricevono l’incarico di scrivere una ricerca su Avshalom Feinberg e -come era già accaduto il secolo precedente per Rivka e Sarah Aharonson- anch’esse si sentono rapite dal fascino di quel giovane uomo dal volto intelligente, dalla prosa feconda, dalla scrittura rotonda, dalla capacità lirica indiscutibile. Nell’anniversario della morte di Avshalom, le due compagne decidono di recarsi sulla sua tomba. “Ma quando siamo arrivate sul posto -raccontano- abbiamo constatato con sgomento che c’eravamo solo noi’. Abbiamo improvvisato alcune parole in sua memoria, abbiamo letto i Salmi per la sua anima. Ci siamo ripromesse che l’anno seguente le cose sarebbero andate diversamente”.

Tre anni fa, grazie alla loro mobilitazione, è stato possibile organizzare un minian di dieci fedeli. Poi la voce si è sparsa e per la seconda volta della sua vita post-mortem, Feinberg è stato strappato all’oblio. Quest’anno il suo “recupero” ha destato l’interesse della stampa nazionale e della televisione. “Non sapevamo quante seggiole avremmo dovuto preparare per la cerimonia”, dice sorridendo Shlomit Cohen, una delle organizzatrici. “Ho proposto che provvedessimo a cento, mi hanno detto che ero troppo ottimista”. Ma quando si sono aperti i microfoni, attorno alla tomba si stipavano 400 persone: giovani e vecchi, laici e religiosi. Qualcuno ha deposto il ramo di una delle palme trapiantate nel frattempo in Israele (in ricordo di Avshalom) dal palmeto scoperto a Rafah mezzo secolo fa.

Com’è possibile che un uomo morto cento anni fa accenda ancora l’immaginazione delle ragazze di oggi? “Forse perché era una persona ‘estrema’ – cerca di spiegare Shlomit. – Sarà magari per il presentimento della morte, quando amava – amava fino in fondo e quando lottava – lottava fino all’estremo”. Un modello di abnegazione che in Israele scuote di nuovo: non solo le giovani liceali delle colonie cisgiordane, ma anche scrittrici di fama come Amigur-Rotem e Macmel-Atir.