Ebrei in una sinagoga in Turchia

In Turchia ebrei in fuga per colpa dell’antisemitismo

Mondo

di Paolo Castellano
Gli ebrei turchi stanno affrontando giorni difficili. Negli ultimi due anni l’antisemitismo e l’odio anti-israeliano hanno reso la Turchia una terra inospitale per un cittadino di fede ebraica. La situazione critica è stata fotografata da un lungo articolo del Jerusalem Post (pubblicato il 4 febbraio) in cui sono state raccolte alcune testimonianze di ebrei che oggi vivono nel territorio turco nonostante le note criticità.

Ad esempio, il produttore cinematografico Jozef Ercevik Amado afferma che, in quanto ebreo turco, attualmente possa condurre la sua vita quotidiana senza paura. Però svela che i toni si sono surriscaldati dopo il riconoscimento di Gerusalemme come capitale israeliana da parte degli Stati Uniti. Secondo Amado la decisione di Donald Trump ha prodotto insicurezza nella comunità ebraica turca.

«Spesso ci sono molte manifestazioni davanti al consolato israeliano e questo è qualcosa che non mi fa piacere… è spaventoso», afferma Amado. Il produttore inoltre replica che alcuni dei suoi compaesani credono che lui non sia “totalmente turco”.

«Credo che l’essenza del problema riguardi il fatto che la gente ci consideri diversi dalla massa e stranieri… C’è molta ospitalità in Turchia, incredibile ospitalità, ma poi sotto sotto, per diverse ragioni, viene fuori che in te c’è qualcosa di diverso».

La minoranza ebraica – stimata intorno alle 15mila presenze – è stata maltrattata per decenni, soprattutto se si ripercorrono i diversi attacchi terroristici contro le sinagoghe di Istanbul, in cui hanno perso la vita alcuni ebrei.

Le cose non stanno cambiando da quando il governo turco ha fatto un cambio di marcia e ora punta al conservatorismo islamico. Tale politica ha messo sotto i riflettori le minoranze religiose turche. La strategia del Presidente Recep Tayyip Erdogan si è rinforzata soprattutto dopo la svolta diplomatica su Gerusalemme. A dicembre, la Turchia ha infatti ospitato un convegno dell’Organizzazione per la Cooperazione Islamica (OIC), criticando la decisione dell’amministrazione Trump.

Louis Fishman, un assistente universitario al Brooklyn College CUNY, che si occupa dei problemi in Turchia e del conflitto israelo-palestinese, dice che il supporto dei palestinesi è un beneficio per Erdogan perché ha effetti positivi sulla politica interna. «Politicamente, [Erdogan] non ha molto da perdere, nel senso che rinforza il consenso tra i suoi elettori e cattura audience da altri elettorati».

Tuttavia, la Turchia ha ancora voglia di proteggere i suoi rapporti con Israele, soprattutto per il forte impatto economico. Lo scorso anno la Turkish Airlines è stata la linea di volo più usata per le tratte di andata e ritorno da Israele, secondo il quotidiano Haaretz.

Antisemitismo in crescita

Fishman, che ha vissuto sia in Turchia che in Israele, dice che negli ultimi due anni c’è stato un preoccupante aumento dell’antisemitismo: «Non è qualcosa di sistematico all’interno della legge che può farti sentire discriminato nella tua routine quotidiana, ma c’è una grande presenza di antisemitismo qui».

Un sondaggio del 2015 fatto in Turchia ha riportato che il 71% degli intervistati ha delle convinzioni antisemite. Il risultato dell’intervista spiegherebbe infatti la matrice d’odio dietro all’attacco terroristico del 1986 contro una sinagoga che uccise 22 persone. Per non parlare poi della serie di attacchi bomba nel 2003 rivolti contro altre sedi religiose ebraiche.

Negli anni sono cresciute le norme di sicurezza per tutelare la comunità ebraica turca. Oggi, per entrare al museo ebraico di Istanbul, una guardia di sicurezza chiede una password o un’identificazione prima di accedere al metal detector per poi entrare in un’altra stanza dove sono esposti gli artefatti.

In una serie tv, trasmessa da una rete statale e basata sulla storia dell’Impero Ottomano, gli ebrei sono stati raffigurati come soggetti cospiratori. Il programma televisivo è solo la rappresentazione dei pregiudizi antisemiti della maggioranza dei popolo turco. Nel 2015 un sondaggio ha riportato che il 71% dei turchi intervistati aveva delle credenze antisemite nei confronti di Israele; il pregiudizio razzista più comune riguarda invece l’infedeltà degli ebrei.

Betsy Penso, un’avvocatessa che presta volontariato per un organizzazione chiamata Avlaremoz, una ONG che tiene traccia dell’antisemitismo online e nei media, dice che le forme d’odio sembrano in aumento. «Penso che l’odio razziale stia diventando più forte… da quando non c’è nessuna punizione, le persone continuano a scrivere senza che nessuno dica niente loro». L’avvocatessa sospetta che parte di questo declino sia collegato ai social media che hanno dato voce alle opinioni di tutti, pareri che una volta tenevano per sé.

Contrariamente i social media hanno anche permesso alla piccola comunità ebraica di avere la chance di comunicare meglio. “Avlaremoz” significa “Parliamo” in Ladino, un dialetto spagnolo-ebraico. Betsy Penso dice il progetto è nato per contrastare l’etichetta che i turchi danno agli ebrei chiamandoli “Kayadez” – esseri invisibili o nascosti. L’avvocatessa sostiene che la comunità ebraica sfugga a un confronto pubblico per evitare ritorsioni sul piano sociale. Betsy Penso sostiene che il problema più grande per gli ebrei turchi sia che molti loro concittadini li identifichino con Israele e li insultino per le azioni del governo israeliano. «Ci considerano veramente degli stranieri», dice Penso.

Un grave caso di antisemitismo sui social media – che includeva l’elogio di Hitler – è esploso quando un leader della comunità ebraica turca ha invitato la popolazione a guardare una live streaming di un matrimonio ebraico nella parte occidentale della Turchia.

Nel 2016 Burhan Dogus, un avvocato turco musulmano, ha presentato insieme al pubblico ministero una denuncia penale per i discorsi razzisti nel web. L’avvocato sostiene infatti che i “messaggi d’odio” infrangano il codice penale turco che punisce già atti simili con una pena detentiva di tre anni. Dogus crede che possa essere il primo caso di frasi antisemite in Turchia e spera che esso faccia giurisprudenza per i futuri attacchi contro gli ebrei, costringendo gli antisemiti a pensarci due volte prima di scrivere un commento. Dogus inoltre sospetta che gli ebrei del Paese siano troppo spaventati per denunciare le minacce ricevute.

Un membro della comunità ebraica turca, che lavora come consulente a Istanbul, dice che si rischia troppo nel denunciare l’antisemitismo dei turchi. Egli ha infatti chiesto al Jerusalem Post di mantenere l’anonimato.

La fonte anonima dice che negli ultimi anni l’antisemitismo si è rafforzato e vivere in Turchia è  diventato così difficile che egli sta aspettando la cittadinanza portoghese e pianifica di lasciare il Paese. Il consulente sottolinea che le pressioni fatte agli ebrei in Turchia sono simili a quelle fatte ad altre minoranze, come gli armeni e i greci. Questa pressione è aumentata da quando c’è stato un giro di vite dopo il fallito golpe militare dello scorso anno, con 50mila arrestati e 150mila cittadini sospesi e licenziati dal loro posto di lavoro.

«Se non sei un musulmano praticante, se non vai a pregare in moschea, se non hai una moglie coperta da un velo… se non sei tutto questo allora non rientri nel modello del cittadino turco perfetto, per questo tante persone hanno deciso di partire», il consulente ha dichiarato.

Amado, il produttore cinematografico, teme che la comunità ebraica possa scomparire: le nuove generazioni lasciano la Turchia mentre le vecchie si stanno gradualmente estinguendo per motivi anagrafici. Egli ha infine sottolineato, come gli altri, che la comunità ebraica stia perdendo consistenza: ogni giorno la vita va avanti e questo problema non è stato ancora affrontato dai rappresentanti ebrei. Ma le preoccupazioni, anche se non si vedono, rimangono vivide sotto la superficie.

(Credits foto: Getty Images, fonte Forward.com)