Suez cinquant’anni dopo

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Questo articolo di Daniel Johnson comparso su ‘The New York Sun’ ripercorre, attualizzandoli, gli avvenimenti che contrassegnarono la cosiddetta ‘crisi di Suez’ dell’ottobre 1956, giusto cinquant’anni fa.

Il 25 luglio di quell’anno, Nasser aveva annunciato la nazionalizzazione del Canale di Suez, arteria vitale per il commercio occidentale verso l’oriente. Il 24 ottobre, in un incontro segreto a Sèvres, Inghilterra, Francia e Israele si accordano per l’invasione dell’Egitto, per ristabilire il controllo internazionale sul Canale e rovesciare Gamal Nasser che minacciava di coalizzare gli arabi contro l’occidente.

Il 29 ottobre Israele invade il Sinai; un complesso e astuto gioco diplomatico permette a francesi e inglesi di intervenire sotto le mentite spoglie della neutralità. Nel giro di pochi giorni l’esercito israeliano occupa la zona del canale mentre le forze anglo francesi arrivano dal cielo e per mare. Il regime del dittatore sembra avere le ore contate, quando improvvisamente l’intera operazione viene bloccata. I tre paesi sono obbligati a ritirarsi per essere sostituiti dalla forza di pace delle Nazioni Unite.

Cosa era successo? Inglesi e francesi stavano ancora combattendo l’ultima guerra, come fossero ancora perseguitati dai fantasmi di Monaco. Il primo ministro inglese, Anthony Eden che vedeva in Nasser un novello Hitler, fu la prima vittima della nuova politica di globalizzazione: gli eventi che si susseguirono simultaneamente congiurarono per contrastare il piano anglo-francese. Approfittando della diversione di Suez, l’Unione Sovietica aveva invaso l’Ungheria per soffocare la rivolta contro il regime comunista.

In America, Eisenhower – che era stato tenuto all’oscuro da Eden e dall’omologo francese Guy Mollet – era alla vigilia delle elezioni. Reagì all’inganno minacciando di ‘staccare la spina’ alla sterlina, che infatti crollò sui mercati monetari. Appena rieletto (6 novembre) Eisenhower si mosse rapidamente per costringere inglesi, francesi e israeliani a por termine alla guerra, col ricatto di rimuovere lo scudo nucleare americano proprio nel momento in cui il Cremino minacciava di attaccare i tre stati.

Bene o male, il fiasco di Suez ebbe conseguenze di vasta portata. L’umiliazione inflitta al prestigio delle potenze europee fu un colpo da cui non si sarebbero più riprese. La Francia fu costretta a ritirarsi dall’Algeria, e sotto De Gaulle riprese il suo atteggiamento filo-arabo e antiamericano. A sua volta David Ben Gurion nonostante le minacce di Eisenhower di sanzioni e di espulsione dall’Onu, riorientò la politica israeliana verso l’America. Nasser invece, nonostante la sconfitta militare, riemerse come eroe dei ‘non allineati’ e divenne il modello a cui si ispirarono figuri come Arafat e Saddam Hussein. L’Egitto cadde sotto l’influenza sovietica e fu perso alla democrazia. L’ideologia nasseriana del panarabismo, antesignana dell’odierno islamismo, divenne prevalente nel mondo musulmano.

Oggi comunque, guardando la crisi di Suez col senno di poi e ammettendo che l’inganno e l’incompetenza ebbero sicuramente la loro parte, non si può non rammaricare che l’operazione fallì, o meglio: non le venne data la possibilità di riuscire. Sarebbe stata un’occasione unica per tagliar fuori l’Unione Sovietica dal Medio Oriente e per dimostrare l’appoggio occidentale alle democrazie arabe e non alle dittature.

Quanto a Eden, giovane e brillante segretario agli esteri, ma per troppo tempo messo in ombra da Churchill (gli era subentrato nel 1955) nonostante fosse filo arabo e antisemita per formazione e carattere, per ironia della storia vide il suo destino legato a quello del più grande sionista, Ben Gurion. Gravemente malato si dimise due anni dopo.

Per noi, una delle conseguenze più nefaste della crisi di Suez che ci perseguita ancor oggi, è l’atteggiamento francese verso Israele. Il Quai d’Orsay, il ministero degli esteri, ha sempre visto la Francia come una ‘potenza musulmana’ e quindi ostile a Israele, il che spiega perché fosse stata tenuta fuori dal giro mentre si pianificava l’operazione. Dopo Suez essa ritornò alla sua politica filo araba e antisionista e costrinse l’Europa a seguirne l’esempio. E anche i presidenti che vennero dopo, fino a Chirac, coltivarono l’OLP sulla scena internazionale e permisero a Khomeini di lanciare la rivoluzione iraniana dalle banlieue parigine. E ora i francesi raccolgono quello che hanno seminato, ora che le loro città sono messe a fuoco dalla sollevazione islamista che non dà segno di voler diminuire.

Suez fu uno di quelle grandi possibilità mancate, fatte fallire per miopi comportamenti. Negli anni 50 la minaccia principale per le democrazie era costituita dal comunismo, non da un Islam in ripresa. Kruscev allora probabilmente non avrebbe rischiato l’invasione dell’Ungheria, con tutto ciò che di nefasto comportò, se la Nato non fosse stata divisa e preoccupata dall’ultimo sforzo dell’imperialismo europeo. Era impossibile mettere sotto accusa l’Unione Sovietica mentre i più stretti alleati dell’America invadevano l’Egitto. Solo ora, nel mondo post 11 settembre, Suez ha assunto un nuovo significato, quello dell’occasione mancata di fermare il sorgere di un nuovo e più terribile pericolo – la jihad nucleare contro l’occidente.

Traduzione Lia Sacerdote