Chi è Steven Salaita, il professore che si sente vittima della “lobby sionista”

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di Nathan Greppi

Steven Salaita: questo nome potrebbe non dire niente alla quasi totalità degli italiani, ma negli Stati Uniti questo docente universitario di origini palestinesi è da tre anni al centro di numerose polemiche per una serie di tweet scritti nel giugno 2014, durante l’Operazione Margine Protettivo, che gli sono costati un posto come insegnante all’Università dell’Illinois. 3 anni dopo, come riporta Algemeiner, Salaita ha deciso di non cercare più un impiego come professore.

A molti potrebbe sembrare ingiusto licenziare un uomo solo per dei tweet, ma leggendoli si cambia subito idea: infatti, in uno di essi, scritto nel periodo in cui tre ragazzi israeliani furono rapiti e uccisi dai terroristi di Hamas, Salaita disse: “Voi forse siete troppo raffinati per dirlo, ma io no. Io spero che tutti i fot***i coloni della West Bank siano fatti sparire.” Aveva inoltre paragonato le politiche di Israele al massacro dei nativi americani da parte degli europei, e scritto che i sionisti provano un “piacere sessuale” nell’aggredire i palestinesi.

Dopo aver annunciato il suo recente ritiro dalla vita accademica, Salaita ha aggiunto che “i sionisti hanno fatto gli straordinari per incriminarmi, ma non hanno mai trovato niente di compromettente. Non per mancanza di diligenza, ma perché non vi è altro che un franco disprezzo per la colonizzazione”.

Tuttavia, se da un lato la sua carriera all’Università dell’Illinois era finita lì, un’altra era appena cominciata: quella di “martire preferito del BDS”, per usare le parole del ricercatore Asaf Romirowsky che nel novembre 2015, sul think tank americano Middle East Forum, raccontava come Salaita, subito dopo aver perso il posto, sia stato invitato a numerosi eventi promossi dal BDS e da diverse ONG anti-israeliane, che lo hanno visto come una vittima dei poteri forti e trasformato in un eroe agli occhi dell’estrema sinistra.

Altri accademici l’hanno difeso poiché secondo loro non si può giudicare accuratamente le sue idee sulla base di 140 caratteri. Per controbattere a tali posizioni Liel Leibovitz, tra le firme più autorevoli del Tablet Magazine, ha analizzato i saggi e le pubblicazioni di Salaita: infatti, la prima contraddizione che salta all’occhio nella sua bibliografia è che non ha niente a che fare con l’incarico che gli era stato offerto, che riguardava lo studio della storia degli Indiani d’America; nella sua bibliografia invece si trovano titoli come Anti-Arab Racism in the USA, Modern Arab American Fiction e altri titoli che, come fa notare Leibovitz, “non hanno assolutamente niente a che fare con i Sioux o i Seminoles.” L’unico suo libro sui nativi americani è The Holy Land in Transit, che però fa analogie tra i pellerossa e i palestinesi.

Ma il suo libro dal titolo più inquietante è Israel’s Dead Soul (L’anima morta d’Israele), nel quale descrive i soldati israeliani come assassini ossessionati dall’identità nazionale; tanto che alla fine Leibovitz conclude affermando che “Chiunque abbia ancora dubbi sul fatto che Steven Salaita meriti o meno un lavoro accademico dovrebbe ignorare i suoi tweet e leggere le sue opere.”