Da sinistra, Valdimir Putin e Beniamin Netanyahu

Tra Russia, Israele e Iran: la politica dei passi lunghi e poco distesi. Un’analisi

Mondo

di Luciano Assin
In poco meno di un anno il premier israeliano Netanyahu si è incontrato per l’ottava volta col presidente russo Vladimir Putin. Al di là degli interessi più o meno comuni dal punto di vista politico, questa intensa e impressionante sequenza di incontri ravvicinati la dice lunga sul rapporto instauratosi fra i due capi di stato.

Ma anche se esistesse una reciproca simpatia, questo non significa necessariamente che ognuno non guardi prima di tutto ai propri interessi. I russi hanno ottenuto moltissimo dalla guerra civile siriana che si sta ormai concludendo con la vittoria del presidente siriano Bashar Hafez al-Assad. Oltre a rafforzare la propria presenza geopolitica nella regione mediorientale  la Russia ha rinnovato l’affitto della base navale di Tartus, l’unico sbocco diretto della marina russa sul Mediterraneo. I russi  controllano anche l’areoporto militare di Hmeimim dal quale effettuano i continui raid contro le forze siriane di opposizione, curdi compresi.

Israele dal canto suo continua a godere di una libertà di azione presso che illimitata sui cieli siriani e libanesi, e questo è possibile esclusivamente grazie a degli accordi stabilitisi e rafforzatisi nel tempo fra Mosca e Gerusalemme. Ma per Israele la vera gatta da pelare che la terrà occupata per i prossimi 10 anni si chiama Iran.

Teheran è ormai diventata da tempo il principale pericolo strategico, per non dire esistenziale, dello stato ebraico. Gli iraniani operano principalmente su due fronti. Su quello a breve e medio termine si basano sulle forze sciite di Hezbollah e sul regime filo iraniano di al-Assad. L’attuale strategia del regime degli ayatollah è basata sull’impiantazione nel paese dei cedri di uno o più stabilimenti in grado di trasformare gli oltre 100.000 missili in base a Hezbollah in ordigni di altissima precisione grazie a delle relativamente semplici modifiche dotandoli di un sistema satellitare in grado di portarli sul bersaglio praticamente ad una distanza millimetrica.

Israele non potrà in nessun modo accettare uno stravolgimento così radicale dei rapporti di forza esistenti nella regione. Soltanto qualche giorno fa il portavoce dell’esercito israeliano, il generale di brigata Ronen Manelis, ha pubblicato un articolo in lingua araba che metteva in guardia la popolazione libanese delle inevitabili conseguenze di una simile escalation. Non è certo casuale che anche il ministro della difesa israeliano, Avigdor Lieberman, ha affermato ultimamente che l’IDF , in base alle esperienze acquisite durante la seconda guerra del Libano, combattuta nel 2006, è molto più preparato ad affrontare un nuovo conflitto.

Sul lungo termine Teheran aspetta pazientemente il termine di circa 15 anni dopo i quali potrà riprendere il suo progetto nucleare. Quindici anni per il medio oriente sono una manciata di minuti, e la pazienza da queste parti non manca di certo. Intanto in piazza della Palestina nel centro di Teheran, un orologio continua a segnare il conto alla rovescia della distruzione d’Israele, previsto per il 2040.

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