La visita di Ciampi al Museo ebraico di Roma e alla Sinagoga

Italia

La visita del Capo dello Stato Carlo Azeglio Ciampi al nuovo Museo ebraico di Roma e agli ebrei della più antica comunità della Diaspora ha segnato un momento lieto e importante.
Non c’è bisogno di commentare lo spessore e la rettitudine con cui il presidente ispira fiducia a tutti gli italiani in buona fede e a maggior ragione la sua capacità di costituire un punto di riferimento per tutti i cittadini, a cominciare da quelli che appartengono alle minoranze religiose, etniche e culturali in Italia.
L’accoglienza calda e vivace che la comunità di Roma ha riservato a lui e alla signora Franca che lo accompagnava, è stata fedele alle più autentiche tradizioni e ha riportato chi ha vissuto la visita in prima persona a un clima di serenità e di confronto fra amici. Un confronto che troppo spesso in tempi recenti ci è mancato.
Ma la visita ha fatto anche da termometro per misurare un momento molto delicato che attraversa la nostra società. Era impossibile non notare una differenza per le precise, doverose parole del presidente della Comunità di Roma Leone Paserman e del rabbino capo della capitale Riccardo Di Segni, che lo hanno accolto, e quelle di un Capo dello Stato che si è volutamente tenuto sulle generali, senza evocare i grandi temi che agitano oggi la società italiana e lo scenario internazionale. Basta leggere nei testi che seguono.
Fra vignette, magliette e proteste di piazza manovrate dai grandi dittatori che infestano il mondo islamico e non esitano a massacrare i loro stessi popoli dopo averne cinicamente sfruttato la rabbia, l’Italia è disorientata.
Fra polemiche, piccinerie elettorali, ambiguità, bestialità e bandiere bruciate in piazza da rottami avvelenati della storia, dai residui dei fallimenti dell’estrema destra, dell’estrema sinistra e dell’estrema stupidità, il Paese tarda a reagire. Sembra incredibile, ma c’è ancora chi crede che lo Stato di Israele abbia bisogno di un’autorizzazione ad esistere e a dimostrare che la democrazia avanzata è praticabile anche se circondati dalle più bestiali e prevaricatrici dittature.
Ciampi doveva parlare a nome di tutti gli italiani. E nella sua prudenza, nella misura estrema delle sue nobili, eppure sfumate parole, si leggeva il segno dell’antica amicizia, ma anche quello delle incertezze che attraversano la nostra società.
Resta il fatto che la visita ha rappresentato un momento di grande importanza.
Al di là delle parole contano i fatti concreti.
Sui gradini, fra la gente assiepata al Lungotevere, fra i bambini delle scuole che lo hanno abbracciato, il presidente c’era. E l’Italia che tentenna, se non vuole perdere i valori che la costituiscono, non può continuare a distogliere lo sguardo.

Guido Vitale (direttore@mosaico-cem.it)

Discorso del Presidente Leone Paserman
Signor Presidente,

altri suoi illustri predecessori sono venuti in questo Tempio maggiore in particolari circostanze; Francesco Cossiga, il 14 maggio 1990, per esprimere la solidarietà della nazione dopo l’orrenda profanazione del cimitero ebraico di Carpentras, in Francia; allora il presidente disse che non voleva tuttavia rivolgersi alla Comunità perché sarebbe stato un segnale di separatezza. “È come se mi rivolgessi a qualcosa di separato. Siete italiani, siamo italiani. Italiani non solo per ragioni giuridiche, ma anche storiche e culturali, per l’apporto che avete dato come minoranza culturale e religiosa alla creazione della nostra civiltà, alla liberazione del nostro paese”.
Alcuni anni prima, dopo l’attentato terroristico palestinese del 9 ottobre 1982, in cui era stato ucciso un bambino di 2 anni, Sandro Pertini volle partecipare personalmente ai funerali della piccola vittima; i meno giovani tra di noi ricorderanno certamente il gelido silenzio con cui venne accolto, molto più espressivo di qualsiasi protesta contro la montante campagna antisraeliana dei mesi precedenti che aveva creato le condizioni psicologiche favorevoli per l’attentato.
È con particolare gioia, quindi, ed un po’ di emozione che ho l’onore di accoglierla oggi, in un’atmosfera festosa e di pace: Bruhim habaim, benedetti coloro che vengono, come diciamo in ebraico, e sono qui con noi.
Due anni fa, abbiamo celebrato il centenario del Tempio, non solo però la sua costruzione fisica, ma
ciò che significò per la nostra Comunità, per Roma, per l’Italia. Dopo più di tre secoli di relegazione nel ghetto, dai 1870, agli ebrei romani era stato concesso finalmente di essere parte integrante della società, di quella che presto sarebbe stata, anche con il loro contributo, la nostra nazione. E lo fecero con passione, con entusiasmo, fiduciosi di potere coniugare la propria identità ebraica con la nuova identità nazionale italiana. Furono anni di grandi fermenti intellettuali, in un clima ancora pieno di ricordi risorgimentali, laico ma non dimentico delle origini. Furono gli anni in cui si formarono quegli illustri scienziati che avrebbero onorato l’Italia conseguendo il premio Nobel: penso a Emilio Segrè, a Franco Modigliani, a Rita Levi Montalcini.

Purtroppo nel 1938 le infami leggi razziali vennero a separarci di nuovo dalla società italiana, a discriminarci; fino a permettere la più tragica e radicale di tutte le persecuzioni, che condusse anche i nostri cari ai campi della morte, ad Auschwitz. La Shoah, un annientamento collettivo, dal quale in molti fummo salvati dal coraggio e dalla generosità di alcuni concittadini cui va ancora oggi la nostra riconoscenza e la nostra gratitudine.
Di lì a poco, tuttavia, nonostante l’immane tragedia della guerra, il popolo ebraico seppe riscattarsi, creando uno Stato indipendente, lo Stato d’Israele, capace di accogliere gli ebrei sopravvissuti, dar voce al loro anelito di popolo e difenderli da nuove persecuzioni.
Alcuni mesi fa, Lei, signor Presidente, ha ospitato al Quirinale il presidente dello Stato d’Israele, Moshè Katzav, per la prima visita ufficiale di Stato in Italia. Le siamo grati di avere voluto dare una prova evidente degli ottimi rapporti e dell’amicizia tra i due paesi e i due popoli. Per noi ebrei, Israele è oggi il centro ideale del nostro pensiero, cui ci uniscono migliaia di anni di studio dello stesso Libro, di perseguimento degli stessi ideali, degli stessi modelli di vita, di comunanza di sentimenti e di destino.
Il rinnovato nostro Museo, e l’annessa piccola galleria dei marmi antichi vuole appunto documentare 22 secoli di storia ininterrotta della nostra Comunità, la più antica della diaspora; a Roma gli ebrei sono arrivati prima dei cristiani, anzi proprio tra gli ebrei romani, gli apostoli della nuova religione arrivata da Gerusalemme trovarono molti seguaci. Qui esistono, a fianco delle catacombe cristiane, anche catacombe ebraiche; ad Ostia antica si possono ammirare i ruderi di una sinagoga, una delle più antiche del mondo di cui esista ancora traccia.

Abbiamo anche la fortuna di esporre una raccolta di argenti, di tessuti ed arredi sinagogali, del XVII e XVIII secolo, tra le più importanti del mondo; nell’archivio storico sono conservati manoscritti, antichi codici, pergamene miniate, stampe e documenti rari, alcuni risalenti al medio evo. Abbiamo voluto realizzare questo nuovo allestimento per migliorare il servizio culturale offerto agli studiosi ed ai cittadini, ai turisti ed agli alunni provenienti da scuole di tutta Italia, desiderosi di sapere di più sull’ebraismo, non solo attraverso le parole, ma dalla visione diretta degli ambienti e degli oggetti.
L’attività educativa e didattica che intendiamo ulteriormente potenziare serve anche a contrastare le numerose manifestazioni di razzismo, di xenofobia, di antisemitismo, di ostilità verso gli altri, i diversi, cui assistiamo quasi quotidianamente.
La cultura del rispetto delle alterità stenta ad entrare nella nostra forma mentis; l’antisemitismo non solo è oggi propagandato e fa parte della politica ufficiale di molti paesi islamici, nella generale indifferenza dell’opinione pubblica occidentale, ma è diffuso anche in ambienti altrimenti insospettabili, magari nascosto con distinzioni subdole e sofisticate, come quelle tra antisionismo e antisemitismo.
Oggi l’Italia, anche per Suo merito, signor Presidente, è in prima fila nella costruzione del grande progetto di un’Europa unita ed in pace, sempre più allargata e coesa; noi desideriamo sentire forte quel senso di fratellanza, di responsabilità collettiva, di partecipazione profonda e completa alla vita
di questo paese e del continente al quale apparteniamo; tanto più che la guerra scatenata dal terrorismo c’impone più che mai uno sforzo comune, una grande solidarietà ed un attaccamento ancora più forte ai valori che ci legano, prima di tutto la cultura della vita e la fede nella democrazia.

Leone Paserman

Discorso del Rabbino Capo Riccardo Di Segni
Signor Presidente,
È con particolare piacere che Le diamo il benvenuto nell’edificio della Grande Sinagoga – il Tempio Maggiore dove abbiamo da poco inaugurato il museo ebraico della nostra Comunità.
Desidero esprimerLe brevemente i motivi della nostra gratitudine per questa visita.
Come Presidente della Repubblica la Sua figura rappresenta l’autorità dello Stato regolata da una costituzione democratica esemplare promulgata dopo la seconda guerra mondiale e la fine dell’incubo nazifascista.
Non a caso democrazia, pace ma anche convivenza e rispetto sono valori della costituzione nei quali la nostra comunità non solo si riconosce ma li considera l’espressione politica della sua esperienza storica plurimillenaria. La nostra vicenda storica come ebrei nel mondo ma in particolare in Italia, e ancora di più in questa città dove siamo presenti da più di 21, secoli dimostra come sia possibile, anzi auspicabile, anzi necessaria per tutti la presenza di una comunità fedele ai suoi principi ma sempre pronta a partecipare al progresso della casa comune.
Oggi viviamo in un mondo in cui le tentazioni di violenza basate spesso pretestuosamente sulla religione diventano sempre più minacciose e rumorose.
Il richiamo alla nostra storia, all’esempio pacifico e sofferto del nostro contributo ininterrotto alla costruzione di un mondo migliore sembra andare controcorrente ma è quanto mai indispensabile.
Per questo, Signor Presidente, viviamo e apprezziamo il senso della Sua visita come un tributo alla nostra storia e al modello esemplare della nostra testimonianza.
Forse in questi giorni proprio ci vuole anche una certa dose di coraggio. Di tutto questo Le siamo grati e La salutiamo con la benedizione tradizionale che riserviamo ai Capi di Stato: Baruch shenatan mikevodò lebassar vadam, Benedetto sia colui che ha dato della sua gloria agli esseri di carne e sangue.
Grazie e Baruch abbà, benvenuto!

Rav Riccardo Di Segni

Discorso del Presidente Carlo Azeglio Ciampi
Ringrazio il Presidente Paserman per le parole che ha avuto la cortesia di rivolgermi. È per me di grande interesse visitare questo rinnovato Museo ebraico di Roma, che raccoglie il patrimonio storico della Comunità ebraica più antica del mondo occidentale.

A questo museo è affidato il compito di tramandare duemila anni di storia e di tradizione della Comunità di Roma. Ne sono testimonianza i calchi delle catacombe giudaiche di età imperiale, i codici miniati medievali, i velluti e i vestiti rinascimentali e barocchi. Sono segni tangibili di come la storia di questa Comunità sia strettamente intrecciata con quella della città, e come con questa abbia condiviso i momenti di gioia e quelli più drammatici.

Ogni museo ha lo scopo di custodire e diffondere la memoria del passato e invitare a riflettere. So che questo Museo è visitato da molte scolaresche, non solo di fede ebraica. È di fondamentale importanza che i giovani vengano a “toccare con mano” la Storia.
I popoli, le culture, le religioni, devono dialogare tra loro per conseguire il bene comune degli uomini. Perché ci sia dialogo è necessaria la vicendevole conoscenza, il reciproco rispetto, l’accettazione dell’altro.
Conoscere è il primo passo per raggiungere questo obiettivo e il Museo ebraico di Roma può essere un importante punto di riferimento su questo difficile percorso.
Si sente dire spesso che gli ebrei romani sono gli unici “veri” romani. Nessuno di noi dimentica quello che ha significato nella storia di Roma Capitale il sindaco Nathan.

Così come nessun uomo della mia generazione può dimenticare la tremenda giornata del rastrellamento degli ebrei di Roma, può dimenticare la Shoah.
Certo è che, nel corso dei secoli, la
Comunità ha dato molto a Roma e all’italia, in termini di capacità, di ingegno e di tradizioni.
Questo ultimo aspetto è testimoniato dalla “gustosa” sezione che illustra le ricette della cucina ebraica ancora vive, e apprezzate, la peculiarità del dialetto giudaico romanesco e gli antichi mestieri.

Il rinnovato Museo ebraico è solo l’ultimo contributo, in ordine di tempo, a un rapporto bimillenario tra la Comunità e la Capitale d’Italia.

Presidente Carlo Azeglio Ciampi