Israele: dieci anni dopo, resa pubblica la verità sulla distruzione dell’impianto nucleare in Siria

di Luciano Assin

A quasi dieci anni di distanza, la censura israeliana ha sorprendentemente reso noto i particolari del bombardamento che nella notte fra il 5 e il 6 settembre 2007 distrusse un impianto nucleare siriano di fabbricazione Nord Coreana.

Non che qualcuno avesse dei dubbi su chi fosse stato l’autore dell’azione, ma fino ad oggi gli israeliani hanno sempre preferito nascondere le proprie azioni militari con un velo di incertezza per evitare tra l’altro l’imbarazzante possibile reazione della controparte.

La novità di queste rivelazioni consiste nel comprendere fino ai livelli più profondi le motivazioni che hanno portato ad una decisione così cruciale, ma soprattutto a stupirsi di quanto i profondi contrasti fra i vari protagonisti della vicenda siano stati principalmente più personali che non sostanzialmente legati alla sicurezza nazionale.

La vicenda inizia nel 2006, pochi mesi dopo la drammatica conclusione della Seconda guerra del Libano, quando il servizio informazioni dell’esercito individua un edificio sospetto a Dir a Zur, nella parte nord orientale della Siria. Per il momento sono soltanto dei sospetti, l’incarico di fornire informazioni più dettagliate spetta al Mossad che in un primo momento rigetta in toto la possibilità di un simile evento.

Alla fine Meir Dagan, il capo dei mitici servizi segreti israeliani, dà l’ordine di controllare la situazione e i suoi agenti tornano con le risposte positive necessarie al prosieguo dell’operazione. I nord coreani stanno costruendo un impianto nucleare prossimo a diventare operativo. La decisione a questo punto diventa cruciale: quando e come distruggere quella che viene vista come una minaccia esistenziale per lo Stato ebraico.

I contatti diplomatici con gli americani sono fallimentari, George Bush jr e Condoleezza Rice si tirano fuori, probabilmente per non dover poi ammettere la pochezza dei propri servizi di intelligence che non sono riusciti a scoprire la costruzione di un impianto nucleare che andava avanti da almeno sette anni.

A questo punto le polemiche fra i due Ehud, il primo ministro Olmert e il ministro della difesa Barak raggiungono livelli di guardia. Il primo è propenso ad attaccare il più presto possibile mentre il secondo cerca di prendere tempo per preparare l’esercito allo scoppio di una possibile guerra contro la Siria e le milizie libanesi di Hezbollah.

Sembra inconcepibile a scriverlo ma all’alba della decisione di optare per la scelta militare si calcola che qualcosa come 2500 israeliani erano a conoscenza del progetto. La spallata definitiva derivò da un’interrogazione presentata da un giornalista americano all’ambasciata israeliana di Washington sulla presunta esistenza di un impianto nucleare in territorio siriano.

È il momento in cui il governo israeliano sceglie di distruggere l’impianto cercando di limitare al massimo la propria responsabilità. Questa tattica di assumere una posizione di silenzio facendo in ogni caso recepire il messaggio ai destinatari si rilevò vincente. Un velo di silenzio sull’accaduto era in definitiva nell’interesse di tutti.

Al di là di tutti i retroscena  della faccenda, la domanda che sorge spontanea è: perché proprio adesso la censura israeliana ha dato il permesso di una simile pubblicazione? La risposta più plausibile è che gli iraniani siano i principali destinatari del messaggio israeliano. Attenti a non tirare troppo la corda, è la minaccia per niente velata di Gerusalemme, se vogliamo siamo in grado di colpire dove e quando vogliamo, con o senza l’appoggio americano.

Per il momento si tratta solo di speculazioni sulla effettiva volontà da parte del governo Netanyahu di effettuare un simile passo, ma di una cosa possiamo stare certi: volenti o nolenti bisogna ammettere che un impianto del genere in una zona così instabile come la Siria sarebbe stato certamente un incubo per i Paesi di tutta la regione e non solo.

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