Scola alla sinagoga di Milano. Rav Arbib: “Capire il legame del popolo ebraico con Israele per capire l’ebraismo”

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di Ilaria Myr

Dialogo ebraico-cristiano, comprensione, convivenza. Ma anche Israele, Gerusalemme, antisemitismo e antisionismo. Sono queste le parole che sono risuonate più spesso martedì 17 gennaio nella sinagoga centrale di Milano, in via Guastalla, durante la visita del Cardinale Arcivescovo di Milano Angelo Scola – la prima in assoluto in una sinagoga milanese. Ad accoglierlo, Rav Alfonso Arbib, Rabbino capo di Milano e gli esponenti della Comunità ebraica di Milano, primi fra tutti i co-presidenti Milo Hasbani e Raffaele Besso.

Dopo aver visitato una mostra a pannelli dedicata ai luoghi e agli oggetti di culto dell’ebraismo italiano, nella Sinagoga gremita, si avvia il momento atteso. Di fronte a ebrei e cristiani – della Delegazione che accompagna il Cardinale fanno parte alcuni Vescovi ausiliari, rappresentanti del Consiglio delle Chiese Cristiane di Milano con l’attuale presidente, il pastore Platone, sacerdoti e partecipanti alla Commissione per l’Ecumenismo e il Dialogo della Diocesi, membri del Comitato scientifico dei “Dialoghi di Vita Buona” – l’accoglienza è subito calorosissima. Ad ascoltare ci sono anche Yahya Pallavicini, presidente del Coreis (Comunità Religiosa Islamica Italiana), molte autorità civili e militari, i direttori del Corriere e di Avvenire, Fontana e Tarquinio, oltre all’intera dirigenza della Comunità ebraica di Milano. A introdurre gli interventi l’assessore alla cultura della Comunità Ebraica Davide Romano.

Raffaele Besso (CEM): «Importante che la Chiesa difenda Israele»
«La Sua visita cade in un momento di grave crisi mondiale e di violenza resa preoccupante dalla scarsa comprensione della situazione da parte dei governanti – ha dichiarato il co-presidente della Comunità Ebraica di Milano Raffaele Besso -. Sua eminenza mi permette di ricordare come oggi un bersaglio di rinnovato odio antiebraico sia lo Stato di Israele. Ed è proprio nell’ottica dell’amicizia ebraico-cristiana, di cui oggi ricorre la giornata, che è importante che la Chiesa che Lei rappresenta sappia difenderne l’esistenza non solo per i valori comuni, ma anche per le radici che la fede cristiana affonda in quella terra».

Giorgio Mortara (Ucei): «Non più solo incontri tra esponenti: oggi il dialogo è azione, convivenza, condivisione»
In rappresentanza dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane è poi intervenuto il vicepresidente Giorgio Mortara che ha sottolineato come «l’incontro odierno con la Comunità ebraica di Milano, la seconda in Italia in ordine di grandezza, costituisce un ulteriore passo in quell’essenziale percorso di comprensione e fiducia reciproca che ha preso il via con la dichiarazione di Nostra Aetate. Un percorso che in questa fase storica molto complessa, in cui intolleranze e radicalismi religiosi minacciano non solo la libertà di culto, ma la vita di milioni di persone, assume un valore ancor più significativo di lotta comune contro chi fomenta e istiga all’odio».

In un momento storico costellato di continue violenze e attentati terroristici – Berlino, Istanbul, Gerusalemme solo nell’ultimo mese – è quindi importante che le religioni agiscano con una responsabilità sociale ben precisa e che i loro leader siano un esempio per tutti i cittadini.
«Il Vaticano  – ha poi aggiunto Mortara – ha fatto scelte importanti su questo fronte, con riconoscimenti che non spetta a noi giudicare, portati avanti attraverso scelte che è nostro augurio siano state attentamente meditate. Ma a queste attestazioni di fiducia e di apertura al dialogo, la preoccupazione del mondo ebraico è che corrispondano immediate condanne contro chi invece sceglie la strada della violenza, dell’istigazione all’odio, del terrorismo per colpire la pace a cui tutti aspiriamo, in Italia, in Israele e nel mondo». È passato, secondo Mortara, il tempo del dialogo fatto di incontri inter-religiosi, seguiti per lo più da poche persone. «Oggi invece il dialogo tra religioni deve trasformarsi in agire, in convivenza, in condivisione di progetti e di spazio, andando oltre al pensiero e alla parola. È su questa strada che dobbiamo incamminarci come auspicato da documenti di Commissioni miste di carattere sia multiculturale ed interetnico sia interreligioso».
Esempi concreti sono la collaborazione fra il Memoriale della Shoah, la Comunità di sant’Egidio e i City Angels per i migranti alla Stazione Centrale, il progetto “Insieme per prenderci cura” promosso dalla Accademia Ambrosiana con l’associazione medica ebraica che ha visto collaborare assieme Cristiani, musulmani ed ebrei sotto l’egida della curia il rabbinato di Milano e il Coreis, e il Corso per il personale addetto alle carceri, sotto l’egida della curia il rabbinato di Milano ed il Coreis.

«Questi sono un ottimo esempio di collaborazione tra comunità ebraica e Curia – ha aggiunto Davide Romano -. Aggiungo solo che in tempi di fanatismo, dal momento in cui sappiamo che la maggior parte dei terroristi islamici viene indottrinato in carcere, sarebbe opportuno che insieme anche ai nostri amici musulmani  ci facessimo sentire di più dalle autorità perché ci permettano di lavorare non solo sul personale del carcere, ma anche e soprattutto sui detenuti. Per salvare noi, e per salvare anche loro».

Il fotografo Alberto Jona Falco illustra al cardinale Scola la mostra Grand Tour, Viaggio nell'Italia ebraica
Il fotografo Alberto Jona Falco illustra al cardinale Scola la mostra Grand Tour, Viaggio nell’Italia ebraica

 

Rav Giuseppe Laras: «Facciamo della Bibbia il futuro delle nostre Comunità»
Nel suo discorso, letto dal vicepresidente del Memoriale della Shoah Roberto Jarach, il Rabbino emerito di Milano Giuseppe Laras (impossibilitato a presenziare) ha sollevato stimolanti spunti di riflessione su quel dialogo ebraico-cristiano di cui lui stesso in prima persona è stato fautore negli anni ‘90 con il cardinale Martini (leggi qui il discorso intero).

«Tutti possiamo a buon diritto cedere alla tentazione di ritenere il dialogo ebraico-cristiano irrilevante, dato che coinvolge pochi interpreti, le cui fila sono rese sempre più esigue da frizioni intestine; ricerca di un “posto al sole”; provvedimenti improvvidi da parte di persone di cui si vorrebbe potersi fidare, spesso presentati sotto forma di “aperture”; età media altissima dei partecipanti; presunti intellettuali lontani dal reale e dalla concretezza, noiosi e autoreferenziali». Un dialogo, peraltro, lamenta Laras, in cui mancano totalmente i giovani, che invece sono i costruttori del futuro. Allo stesso tempo, ci si potrebbe lamentare che «da parte cristiana il Dialogo ebraico-cristiano sia un’appendice della vita del cristianesimo, spesso poco praticata e mai realmente fattivamente additata dai suoi pastori alla maggior parte dei fedeli». Mentre da parte ebraica c’è spesso una reticenza nei confronti di questo dialogo (seppur comprensibile alla luce della storia antica e recente subita da parte ebraica in relazione al cristianesimo).

Alla luce di tutto ciò, si deve dunque abbandonare il dialogo ebraico-cristiano? Oppure continuare su questa strada?

«No! Questo ci obbliga a individuare severe e caparbie nuove strategie per l’implementazione sincera del dialogo ebraico-cristiano (…). Spetta stavolta, in questo rapido e decisivo snodo della storia occidentale come pochi altri ve ne sono stati, a tutti noi, cristiani ed ebrei, cogliere l’opportunità per fare della Bibbia il futuro, diverso eppur sinergico, delle nostre due Comunità di fede, ridando linfa alla civiltà occidentale. E spetta con urgenza estrema ancora a noi restituire alla Bibbia la sua voce reale, escatologica e divina, che non può essere in alcun modo ridotta a manuale laico per assistenzialismi, buonismi e pacifismi di sorta. (…) È la Bibbia che, pur spesso in versione laicizzata, ha fatto innamorare l’Occidente delle libertà individuali -un bene assolutamente non negoziabile!- a fronte delle libertà collettive degli antichi e di altre culture pur rispettabili. È la Bibbia che ha reso, attraverso l’economia straordinaria dell’Alleanza, l’uomo libero anche rispetto al suo Dio e non assoggettatoGli, ancorché in partnership con il suo Creatore. È ancora la Bibbia che ha insegnato a declinare la libertà non in arbitrio -come invece testimoniano tristemente certe attitudini odierne- ma in responsabilità, accettando liberamente il giogo divino».

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Rav Alfonso Arbib


Rav Alfonso Arbib: «Solo capendo il legame degli ebrei con Israele e Gerusalemme si capisce l’ebraismo»
La parola è poi passata al “padrone di casa”, Rav Alfonso Arbib, rabbino capo di Milano, che ha espresso profonda gratitudine al Cardinale per questa Sua iniziativa. Ricordando come nel dialogo ebraico-cristiano il 17 di gennaio sia la data dedicata all’ebraismo e come qualche anno fa sia stato scelto come tema da trattare in questa data le meghillot, Arbib ha parlato del libro di Ruth, da cui si possono trarre molti insegnamenti: «quello della solidarietà, la ghemilut chasadìm, che significa fare del bene al prossimo, senza fare troppi calcoli, strettamente legato a quello di giustizia, il lifnìm mishuràt haddìn, al di là della linea di giudizio».

Ma l’aspetto su cui il Rav si è soffermato è quello riassunto nella celebre frase di Ruth, la moabita che diventa ebrea, “’il tuo popolo è il mio popolo, il tuo Dio è il mio Dio”. «Questa frase sintetizza lo stretto legame fra religione ebraica e popolo e fra popolo e terra d’Israele e con la città che è al centro della vita ebraica, Gerusalemme – ha spiegato -. Gerusalemme è la città del santuario, distrutto due volte ma sempre presente nel cuore degli ebrei, che pregando si rivolgono nella sua direzione, la città della spiritualità e della pace. Negando, come hanno fatto alcuni organismi internazionali – vedi l’Unesco – il legame del popolo ebraico con Gerusalemme e con Israele non si sta toccando la politica di un governo o di uno Stato, ma l’essenza dell’ebraismo». Il rapporto con Gerusalemme e la Terra di Israele deve quindi diventare il  tema centrale nel dialogo ebraico-cristiano e con le altre religioni, in primis l’islam. Perché «se si negano le radici non ci può essere nessun dialogo».

Il Rav ha poi parlato della parola shalom, pace, che al suo interno la radice shalem, completo, integro. «Quello di pace è uno dei concetti più inflazionati del nostro tempo – ha spiegato -. Basti pensare che pure Adolf Hitler parlava di pace… Ognuno ne parla come vuole. Ma bisogna stare attenti perché questa idea si presta a due concezioni antitetiche: la prima è quella che vede la convinzione della propria integrità e la volontà che gli altri si adeguino alla mia completezza, e che è alla base di ogni fondamentalismo. L’altra concezione, opposta a questa, vede invece la completezza come un’aspirazione, uno sforzo continuo per diventare completi. Ed è questa la concezione che deve essere alla base del dialogo inter-religioso».

Tornando al discorso iniziale della solidarietà, Rav Arbib ha sottolineato come essere solidali significhi capire cosa pensano gli altri, mettersi nei loro panni. Una tendenza, questa, molto diffusa fra tutti, focalizzati come si è spesso sui propri problemi e un difetto che sicuramente hanno anche gli ebrei. «Ma anche noi spesso non ci sentiamo capiti, soprattutto nella nostra relazione con Israele e Gerusalemme, che rende così particolare il nostro popolo. E se non si affronta questo rapporto non si capisce l’ebraismo e la tradizione ebraica».

scolaCardinale Angelo Scola: «Cristiani ed ebrei figli di un unico popolo diviso»
«Questa visita ufficiale nel 150° anniversario dell’edificazione della sinagoga esprime il desiderio sincero di superare le gravi incomprensioni e difficoltà che anche lungo la storia del paese hanno visto coinvolte le nostre comunità – ha esordito il Cardinale Scola -.  Gli 896 ebrei milanesi deportati restano una ferita ancora infetta e sono da condannare, come disse Giovanni Paolo II allo Yad Vashem, le responsabilità storiche di taluni figli della Chiesa nel favorire le oggettive ingiustizie contro popolo ebraico».

«Il dialogo con l’ebraismo occupa per i cristiani un posto unico – ha proseguito -. Essendo la religione ebraica intrinseca alla nostra religione». E citando una dichiarazione del teologo svizzero Leopold von Balthasar, ha proposto una interpretazione del rapporto fra le due religioni basata sullo scisma originario del popolo di Dio, provocato da Cristo stesso.
«Nell’attuale cambiamento d’epoca, il rinnovato rapporto tra ebrei e cristiani è chiamato all’improcrastinabile compito di edificazione di una “civiltà dell’amore” secondo il disegno del Creatore. Vorrei sottolineare il particolare e speciale vincolo spirituale che caratterizza le relazioni fraterne tra ebrei e cristiani e che trova nell’amore per Gerusalemme e per la “Terra di Santità” un centro e un cuore pulsante di fede, di venerazione e di pellegrinaggio orante. Si deve andare in Terra Santa. Come cattolici siamo partecipi, in una dimensione cristiana ecumenica, dei sentimenti di religioso attaccamento alla Terra dei Padri e della Promessa che il popolo ebraico ha costantemente sviluppato nei millenni della storia d’Israele fino ad oggi. Preghiamo che Gerusalemme diventi sempre più la “Città della Pace” per tutti gli uomini e le donne che amano la pace. Siamo perciò profondamente addolorati per le violenze e gli attentati esecrandi che ancora di recente hanno ferito la santa città, uccidendo giovani vite e profanando il Santo nome divino. Così come deprechiamo le espressioni di antisemitismo che si ripresentano, purtroppo, in Europa. La storia del popolo ebraico e di quello cristiano si ergono a indelebile prova che non si dà libertà per la verità che non sia, nello stesso tempo, verità della libertà.

Vorrei, infine, rilevare un tratto assai significativo della vostra storia a Milano. La comunità ebraica assai vivace nella nostra città ha assunto – soprattutto dal dopoguerra – quella dimensione caratteristica della nostra identità civile che fa di Milano una città aperta. Infatti, dagli anni cinquanta avete accolto gruppi di ebrei provenienti da tutto il mondo, e i loro membri sono man mano diventati milanesi a pieno titolo, collaborando in questo modo al bene della nostra società plurale.

Nella nostra Milano, metropoli plurale, la comunità ebraica e quelle cristiane sono, a mio avviso, chiamate ad un compito profetico. Quello di essere un terreno fecondo in cui possa mettere radici e svilupparsi l’incontro e il confronto tra i membri di tutte le religioni, a partire dagli altri figli di Abramo, i musulmani. I nostri fratelli uomini ci trovino insieme testimoni della verità dell’amore e della pace».

Davide Romano: «Come in un matrimonio, manteniamo vivo questo dialogo»
Non diamo per scontati questi incontri interreligiosi – ha concluso Davide Romano -. Ricordiamoci che come in un buon matrimonio, il dialogo va rinnovato e fatto crescere ogni giorno. Se non lo si tiene vivo, senza accorgercene giungiamo all’avvizzimento prima e alla disgregazione poi. Considerazione esagerata? Guardiamoci intorno: è quello che sta succedendo con altre istituzioni che abbiamo sempre dato per scontate: L’Unione Europea, la NATO e la stessa democrazia oggi sono messe in discussione perché non si ha più memoria di cosa c’era prima. Anche per questo è importante che il dialogo ebraico-cristiano continui. Potrebbe essere uno dei pochi legami che resisterà in quest’epoca di disgregazione».

A concludere l’incontro, il canto di due Salmi da parte di Rav Elia Richetti, un brano suonato dalla musicista Alessandra Romano con il “violino di Auschwitz”, e infine lo scambio dei doni, con l’Arcivescovo che offre un Breviario in quattro volumi del 1800 e la Comunità che regala una preziosa edizione unica, realizzata ad hoc per il Cardinale, del Talmud Babilonese.

Alcuni commenti sull’incontro
A margine della visita, abbiamo raccolto i commenti di due rabbini della Comunità Ebraica di Milano, Rav Paolo Sciunnach e Rav Elia Richetti.

«L’incontro in sé, insieme ad altri precedenti, è sicuramente utile, il dialogo inter-religioso soprattutto in ambito ebraico-cristiano ha una validità e una consuetudine tale che lo rende importante di per sé – ha commentato a Mosaico Rav Paolo Sciunnach a margine dell’incontro -. In merito all’occasione appena trascorsa di dialogo tra la comunità ebraica di Milano e l’arcivescovo Scola trovo di grande rilevanza i punti sottolineati da Rav Arbib in merito al rapporto inscindibile fra l’ebraismo e la terra d’Israele senza toccare questioni politiche». Dall’altra parte, continua Sciunnach, il discorso del Cardinale è stato in linea cin quella che è da sempre, almeno dal Concilio Vaticano II, la posizione della Chiesa in merito al rapporto con l’ebraismo in sé, ribadendo la fratellanza e la comunione nelle parti bibliche dell’Antico testamento, la radice comune. Quello che però non lo convince è l’idea dell’unico popolo di Dio diviso da uno scisma interno. «In qualche modo nella teologia cristiana non è chiaro che ruolo hanno gli ebrei in questo unico popolo diviso – commenta -. Vero è, come ha sottolineato il Cardinale, che non possiamo sapere perché Dio ha voluto la scissione. Ma quello che mi lascia perplesso dal punto di vista personale è il concetto in sé dell’unità delle due realtà, che pur avendo una radice comune, sono diverse fra loro».

Concorda con questa opinione anche Rav Elia Richetti, che spiega: «Questo aspetto della divisione di un unico popolo rappresenta per me un punto di domanda, che necessiterà di chiarimenti da parte della Chiesa. Significa che esiste una inscindibilità tale per cui ciò che è sacro per gli ebrei lo è anche per cristiani (e allora sarebbe un fatto positivo)? Oppure implica un appiattimento delle differenze, che invece non è corretto (per il mondo ebraico la sua ricchezza sta proprio nelle sue differenze)?».
Positive, però, nel discorso del Cardinale sono state la volontà di dimostrare la vicinanza al popolo ebraico e l’affermazione dell’identità ebraica dei luoghi sacri. «Molto importante – aggiunge il Rav – è che abbia dichiarato che il dialogo inter-religioso sarà completo solo quando il mondo islamico si allineerà su questa strada».