Isis contro i palestinesi di Yarmouk: l’invisibile strage

Taccuino

di Paolo Salom

Ho atteso qualche giorno prima di parlarvi di Yarmouk. Ho atteso perché temevo di poter essere smentito dai fatti. Insomma, di fronte a notizie tanto crude, di fronte allo stillicidio di morti, giustiziati e decapitati a opera dell’Isis tra i palestinesi del campo profughi alle porte di Damasco, pensavo, la comunità internazionale insorgerà. I fratelli palestinesi dei Territori si leveranno. Le piazze d’Europa si riempiranno di bandiere e richieste di “pace subito”. Le Flotille prenderanno il largo.

Intendiamoci, la mia era chiaramente una speranza che sarebbe lecito descrivere più come un wishful thinking. E tuttavia, di fronte alla dichiarazione ufficiale dell’Olp che professava la sua estraneità agli scontri in atto (“Respingiamo del tutto di essere parte nel conflitto armato a Yarmouk con la scusa della sua liberazione”, ha detto l’Olp  facendo appello ad “altri strumenti”), e dalla blande richieste di intervento delle agenzie internazionali, ho percepito la totale assurdità di questa situazione.

Ma come? Uccidono giovani e vecchi (palestinesi, ma sappiamo in Siria sono ormai oltre 200 mila le vittime della guerra civile) e nessuno grida insulti ai carnefici? Sappiamo tutti molto bene che cosa sarebbe accaduto se, al posto degli sgherri di Assad e dei macellai dello Stato islamico, ci fosse stato Tsahal, l’esercito di Israele. Lo sappiamo perché abbiamo seguito con angoscia l’ultima guerra di Gaza, combattuta perché altro non si poteva fare di fronte ai razzi di Hamas. Ebbene, mettendo a confronto la copertura mediatica, le risoluzioni della cancellerie internazionali di un anno fa con quelle di questi giorni è difficile non pensare che il marcio non è soltanto in Danimarca.

Tutto questo per dire che dobbiamo prepararci, dobbiamo affilare lingue e penne. Perché la prossima volta, quando qualche benpensante oserà accostare i soldati di Israele a parole come “criminali” o “assassini”, dovremo essere lesti e spietati nel ricordare il vuoto pneumatico dei pacifisti di fronte alle sofferenze di gente inerme. Dovremo essere capaci di rispondere senza esitazione riversando su di loro tutta l’ipocrisia di cui è capace il mondo quando è Israele al centro dell’attenzione. È ora di finirla: non è più accettabile un simile, spudorato sistema di due pesi e due misure. La guerra è una cosa orribile, ovunque. Ma c’è chi sa combattere con onore. Non dimentichiamolo mai.