Torino. È polemica sul vagone “baraccone” di Primo Levi

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torinoleviÈ polemica a Torino per una mostra dedicata a Primo Levi organizzata in occasione della Giorno della Memoria. Per la rassegna, che si tiene da oggi fino al 6 aprile a Palazzo Madama, gli organizzatori hanno portato in piazza Castello (davanti a Palazzo Madama) il vagone su cui lo scrittore insieme a tanti altri ebrei venne deportato ad Auschwitz.

Ma il soprintendente dei Beni architettonici del Piemonte, Luca Rinaldi, ritiene che quel vagone esposto davanti a Palazzo Madama sia un «baraccone» che contrasta con il senso estetico della piazza. Dunque ha concesso agli organizzatori della mostra l’uso di piazza Castello per soli 15 giorni. Trascorsi i quali, il vagone dovrà essere rimosso.

Le reazioni
Molte le critiche nei confronti del soprintendente. Tra le altre, quelle del sindaco, Piero Fassino: «Non intendo fare polemiche, ma quello che il dottor Rinaldi definisce ‘baraccone’ è il simbolo di quei treni piombati che hanno portato a morire 6 milioni di persone e viene esposto, per il periodo della mostra dedicata a Primo Levi, per ricordare a tutti quel terribile sterminio. Mi auguro che il Sovrintendente riveda la sua posizione».

Dario Franceschini, ha aggiunto: “«Il significato simbolico e morale della presenza in Piazza Castello a Torino di un vagone piombato a memoria della deportazione nei lager nazisti e del viaggio di Primo Levi è superiore mille volte a qualsiasi valutazione burocratica».

“«Le parole del Sovraintendente di Torino Luca Rinaldi, che chiede di rimuovere il vagone bestiame, simbolo della Shoah, posizionato in questi giorni della memoria dal Comune di Torino in Piazza Castello, sono inaccettabili da qualsiasi punto di vista. La memoria della Shoah è patrimonio collettivo dell’umanità e i simboli che la rappresentano non possono essere ridotti a mero problema estetico»: in questi termini i parlamentari del Pd Emanuele Fiano, Silvia Fregolent, Francesca Bonomo, Antonio Boccuzzi, Anna Rossomando, Andrea Giorgis, Paola Bragantini e Umberto D’Ottavio, commentano la decisione del soprintendente Rinaldi di concedere solo 15 giorni alla permanenza in Piazza Castello del vagone collocato in occasione della mostra dedicata a Primo Levi (che dura fino al 6 aprile). «A noi interessa la prospettiva storica – proseguono i parlamentari del PD – che ci viene tramandata dalla memoria del fascismo e della deportazione e che ha formato la nostra coscienza. L’idea che quel vagone simbolo di una tragedia disturbi il Sovrintendente perché interrompe la prospettiva della Piazza, è semplicemente inaccettabile».

In seguito alla polemica scoppiata a Torino sul vagone di Primo Levi, il senatore di Forza Italia Lucio Malan auspica che il soprintendente dei Beni Architettonici del Piemonte, Luca Rinaldi, venga rimosso dall’incarico. «La richiesta del sovrintendente di rimuovere il vagone collocato in Piazza Castello, a ricordo della deportazione degli ebrei, è sconcertante, indice di una concezione inumana della tutela dei beni culturali – afferma Mala, che ha diffuso una dichiarazione -. A che serve la presunta integrità estetica di una piazza se impedisce di ricordare la pagina più orrenda della storia italiana? Il vagone non deve essere rimosso, sorte che invece auspico il Ministro dei Beni culturali, Dario Franceschini, riservi al sovrintendente».

Rinaldi, marcia indietro
Il soprintendente dei Beni Architettonici del Piemonte, Luca Rinaldi, si  dice «assolutamente d’accordo con il ministro Franceschini» sulla polemica scoppiata a Torino per l’esposizione davanti a una mostra dedicata a Primo Levi del vagone con cui lo scrittore fu portata ad Auschwitz. «Mentre per qualsiasi analoga installazione avrei espresso un fermo diniego ho autorizzato, proprio per il significato dell’iniziativa, la posa del vagone ferroviario davanti alla facciata di Palazzo Madama, in una delle piazze più belle d’Italia, espressamente vincolata sin dal 1989», ha dichiarato.

«Con la Fondazione Levi – ha sottolineato – abbiamo concordato una permanenza di quindici giorni, che potesse far da volano alla mostra e attirare ancora più visitatori. E l’obiettivo mi pare sia stato raggiunto».
Rinaldi ha tenuto a precisare di essersi orientato verso quella scelta «in memoria di mio padre, vice Comandante di Battaglione nelle Brigate Garibaldi sulle colline Astigiane, che
mi raccontava di tanti suoi compagni uccisi o deportati a Mauthausen.».
«A Trieste – ha aggiunto – sono stato nel Comitato di gestione del Museo della Risiera di San Sabba, e qui a Torino ho lavorato con il sindaco per un possibile trasporto al Museo
delle Carceri Nuove del Memoriale italiano dei deportati, che il governo polacco voleva trasferire da Auschwitz, iniziativa purtroppo non andata in porto».

E poi la marcia indietro: «Mi scuso se, con espressioni infelici, peraltro estrapolate dal contesto di un lungo colloquio su temi generali, ho urtato la sensibilità di qualcuno, a proposito di un possibile prolungamento della collocazione, che avevo già autorizzato, di un vagone ferroviario “simile all’originale” davanti a Palazzo Madama. Non volevo certo offendere nessuno». Sulla data di permanenza dell’oggetto in questione che tante polemiche ha sollevato sino a ieri Rinaldi obbedisce al diktat del ministro Franceschini, ma ci tiene a mantenere il punto: «Io mi sono espresso sul piano estetico-architettonico, nell’esercizio del mio ruolo, nel merito di un’installazione, in base peraltro ad un disegno generico in pianta inviato via mail due giorni prima. La discussione invece è poi scivolata su un piano etico morale, entro il quale quelle stesse espressioni hanno assunto, ho ampiamente dimostrato contro il mio volere, tutt’altro significato. Questo travisamento del significato ha generato un vistoso equivoco».