Russia, allarme antisemitismo di Stato dopo dichiarazione del vicepresidente della Duma

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di Anna Lesnevskaya

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Pyotr Tolstoj

Le teorie antisemite complottiste per demonizzare l’opposizione al Cremlino è da tempo un fenomeno diffuso e dilagante in Russia. I liberali, pro occidentali, hanno guadagnato l’appellativo della “la quinta colonna”, dei “traditori della patria” e l’accenno alla loro origine ebraica, negli occhi di chi maneggia una simile retorica nazional patriota, si usa come conferma del fatto che si tratta di gente poco di buono. Tale retorica finora covava sotto, ma non era mai irrotta nel discorso pubblico, nelle parole delle istituzioni. Non è più così. La dichiarazione fatta il 23 gennaio in una conferenza stampa dal vicepresidente della Duma, Pyotr Tolstoj, fa temere il ritorno dell’antisemitismo di Stato in Russia.

Qualche cenno per spiegare il contesto di quanto ha detto Tolstoj. La Russia sta commemorando quest’anno il centenario della rivoluzione bolscevica del 1917. Con il ritorno, da una parte, della nostalgia del grande impero zarista e la resurrezione della trilogia ottocentesca “ortodossia, sovranità, narodnost’ (carattere del popolo russo)” e, dall’altro lato, la glorificazione della figura di Stalin, i rimpianti dell’URSS, il mai fatto mea culpa per le repressioni staliniste e i morti nei lager, la Russia di oggi sta vivendo una perfetta psicosi, e una data come quella del 1917 potrebbe rappresentare un momento di cortocircuito per questa identità bipolare.

Eventi storici, quelli dell’ottobre 1917, di grande complessità, e che lasciano una forte tentazione alle teorie complottiste antisemite che vogliono gli ebrei essere i fautori della rivoluzione. La tesi complottista dice che erano la maggioranza tra i bolscevichi e quindi è tutta loro la responsabilità della catastrofe.

Questo è il primo punto per capire la dichiarazione di Tolstoj. Il secondo punto è legato all’oggetto del suo discorso, il trasferimento della proprietà della Cattedrale di Sant’Isacco a San Pietroburgo dallo Stato alla Chiesa russa ortodossa. La decisione di cedere uno dei più belli e frequentati monumenti della città, che oggi ospita un museo, ma è aperto anche per le funzioni religiose, ha suscitato tante proteste ed è stata criticata dagli operatori museali preoccupati per il futuro dell’edifico e del suo patrimonio artistico. La Chiesa russa ortodossa, che è diventa ormai inscindibile dal potere in Russia, sta cercando di recuperare la proprietà degli edifici che ha perso dopo la rivoluzione.

La battuta del vicepresidente della Duma è stata una risposta alle proteste contro il passaggio di Sant’Isacco alla Chiesa. Oggi, ha detto Tolstoj, “i nipoti e i bisnipoti di coloro che nel 1917 distruggevano le chiese saltando fuori dalla zona di residenza con una Nagant in mano, <…> lavorano in diversi posti di rispetto, alla radio, nei consigli regionali, e portano avanti la causa dei loro nonni e bisnonni”. Una frase che non lascia spazio all’immaginazione, visto che nella “zona di residenza” (ex territori polacchi al confine occidentale dell’impero) della Russia zarista erano confinati proprio gli ebrei. Gli stessi ebrei che, secondo le teorie complottiste, sono visti come la maggioranza dei bolscevichi e quindi coloro che “distruggevano le chiese”.

In realtà, gli ebrei ancora prima del decreto del governo provvisorio che cancellava la zona di residenza nel 1917, con l’inizio della Prima guerra mondiale, venivano costretti a trasferirsi forzatamente nella Russia più profonda, lontano dal fronte, perché ritenuti inaffidabili. Dopo la rivoluzione, la maggioranza di loro era ostile ai bolscevichi, tanto che il partito ebraico socialista Bund ha smesso di esistere sotto i Soviet.

Nell’Urss l’antisemitismo non esisteva ufficialmente, ma di fatto era una parte integrante dello stalinismo e si è manifestato nella vicenda del cosiddetto “complotto dei medici” ebraici e la “lotta al cosmopolitismo” (col cosmopolita si sottintendeva l’ebreo). Nel passaporto sovietico c’era poi il famoso “quinto punto”, quello della nazionalità, e la nazionalità ebraica era l’ostacolo per qualsiasi carriera o accesso agli studi.

Vladimir Putin intrattiene un buon rapporto con la comunità ebraica. Si sa della cordialità che c’è tra di lui e il Rabbino Capo della Russia, Berel Lazar. Eppure la Russia è diventata, nei 17 anni della presenza di Putin al potere, un Paese malato di complesso di inferiorità, che cerca i nemici esterni e da sfogo al peggior nazionalismo. La figura dell’ebreo nemico sta di nuovo tornando in auge.

C’è dell’”aperto antisemitismo” nelle parole di Tolstoj, ha detto nei commenti ai media russi Borukh Gorin, rappresentante della Federazione delle comunità ebraiche della Russia. “Pyotr Tolstoj ha ceduto a una grande tentazione per un politico, la xenofobia, che permette di non spiegare nulla, – ha detto Gorin in un’intervista alla tivù Dozhd. – I miei oppositori sono contro di me perché sono estranei. Chi protesta contro il trasferimento di Sant’Isacco lo fa non perché pensa all’edificio, ma perché odia tutti noi, odia la Russia, la Chiesa russa ortodossa, come i loro nonni”, ha detto ancora Gorin, cercando di interpretare la logica di Tolstoj, ex anchorman televisivo e deputato del partito di Putin, Russia Unita.

“Credo che un tale comportamento sia estremamente pericoloso per la comunità ebraica del Paese e per tutta la Russia”, – ha sostenuto Gorin che considera che Tolstoj dovrebbe essere espulso dal partito.

Il vicepresidente della Duma finora non si è scusato, anzi sulla sua pagina Facebook ha scritto che “solo le persone con un’immaginazione malata possono trovare nelle mie parole segni di antisemitismo”. Coloro che lo fanno, secondo Tolstoj, cercano di spaccare il Paese su base etnica. Il capo di Tolstoj, presidente della Duma, Vjacheslav Volodin, considerato l’ideologo del Cremlino (di lui la famose frase “C’è Putin, c’è la Russia, non c’è Putin, la Russia non c’è”) ha detto che è pronto ad incontrare la direzione della Federazione delle comunità ebraiche russe per dare chiarimenti. Volodin è già intervenuto sui media, sostenendo che Tolstoj parlava non degli ebrei, ma dei “condannati ai lavori forzati”, che, secondo lui, avrebbero anch’essi vissuto ai tempi degli zar nella zona si residenza.

Se le autorità non reagiscono a dei commenti del genere, ha detto Gorin a Dozhd, “questo vuol dire che l’antisemitismo di Stato, o de iure come nell’Impero russo, oppure de facto come nell’URSS, può ritornare di nuovo”.