Lo spettacolo della crudeltà: come capire Isis e califfato secondo Maurizio Molinari

Libri

di Jonathan Misrachi

Maurizio MolinariChi protegge l’Isis e che cosa possiamo fare per difenderci? Chi si nasconde dietro terroristi che vorrebbero trascinarci in una nuova guerra sul suolo europeo? Perché molti credono che la Bataille de France (la battaglia di Francia), l’Isis l’abbia già vinta? Qual è la sua strategia? A queste e molte altre domande risponde Maurizio Molinari, autore de Il Califfato del Terrore – Perché lo stato islamico minaccia l’Occidente (Rizzoli), un illuminante e utilissimo saggio per capire le dinamiche oggi in gioco. Corrispondente del quotidiano La Stampa dal Medio Oriente, abbiamo rivolto qualche domanda a Molinari. Ecco le risposte.

Il suo libro inizia con la frase “Abbiamo i barbari alle porte di casa”. Ma il terrorismo islamico esiste da decenni, quali sono gli elementi che indicano l’unicità della minaccia portata di Isis?
Lo Stato Islamico (Isis) di Abu Bark al-Baghdadi ha proclamato il Califfato il 29 giugno 2014, controlla una superificie di oltre 250 mila kmq, ha 12 milioni di sudditi ed un bilancio di circa 2 miliardi di dollari l’anno grazie ad un esercito di circa 30 mila volontari, in gran parte giunti da Paesi arabi ed europei. In 12 mesi di vita ha fatto sparire tre Stati – Siria, Iraq e Libia – ed è portatore di una ideologia basata sull’identificazione con la violenza come non avveniva dai tempi del nazionalsocialismo. Sono queste novità che ci portano a definire l’unicità del fenomeno barbarico arrivato ai confini con l’Europa. È un errore confondere Isis con le precedenti manifestazioni di terrorismo islamico, dal Gia algerino ad Al Qaeda, perché erano prive della dimensione statuale-territoriale.
I discorsi sulla brutalità dell’Isis sono importanti ma anche scontati. Queste pratiche fanno parte di una precisa “tattica bellica”?
Per Isis la brutalità è identitaria. Considerarla scontata significa non comprenderne l’unicità. Non è una tattica come le altre: è qualcosa che definisce. Non a caso il reclutamento avviene spesso grazie a video che diffondono le violenza più efferata. Per questo Isis adopera le tecniche digitali più sofisticate per diffondere le violenze commesse. La violenza attira volontari, spinge i sudditi alla sottomissione, irretisce i nemici. È l’uso più tribale, ed efficiente, di questo strumento. Che ci fa capire come Isis combatte con i metodi delle faide nel deserto.
Secondo lei l’Occidente ha qualche responsabilità?
il-califfato-del-terrore-rizzoliA prescindere dalla discussione su errori e responsabilità dell’Occidente, il processo in corso nasce e si sviluppa all’interno del mondo arabo-musulmano. Se nel Novecento il protagonista era stato il nazionalismo arabo, ora è il panislamismo. Allora la tendenza fu la nascita di Stati arabi sul modello di quelli occidentali, ora è l’esatto opposto: il ritorno alla “Umma”, la grande patria di tutti i musulmani. È all’interno di tale processo che i jihadisti sunniti guidano una guerra genocida contro gli sciiti. Il tema è il conflitto fra sciiti e sunniti per la guida della “Umma”. Che l’Occidente sbagli o meno, questo è un processo interno all’Islam, destinato a ridefinirlo.
Dal punto di vista militare, l’Isis sta vincendo o perdendo?
Ad un anno dalla sua proclamazione il Califfato controlla metà della Siria, ha le avanguardie a 100 km da Baghdad, minaccia Libano, Giordania, Arabia Saudita e Tunisia. Controlla l’ex roccaforte di Gheddafi ed è stato in grado di lanciare a Ramadan un’offensiva in tre continenti. Nonostante il fatto di essere bersagliato dai raid aerei di una coalizione composta da 60 Paesi. Sul piano militare mi pare difficile parlare di un indebolimento di Isis. Direi piuttosto che è in espansione.
Le minacce di arrivare a Roma sono, secondo lei, serie e reali, da prendere alla lettera?
Quando il Califfo al-Baghdadi parla di Roma e Gerusalemme indica il suo obiettivo ultimo, globale, ovvero la sottomissione dei popoli del libro, cristiani ed ebrei. Non è il primo obiettivo, che invece ha a che vedere con il genocidio degli sciiti e il dominio sull’intero Islam. I riferimenti a Roma servono per assegnare una dimensione epocale alla sua Jihad. Ed anche per spingere possibili “lupi solitari” a colpire.