L’innovazione israeliana al centro di una conferenza sul tema al Palazzo della Regione

Israele

di Nathan Greppi

Domenica 19 marzo, al Palazzo della Regione Lombardia, si è tenuta la conferenza Tecnologia israeliana, una porta per il futuro, organizzata da KKL Italia Onlus e avente come tema l’innovazione e le start up israeliane. Infatti, dopo il successo del padiglione israeliano allExpo 2015, i suoi progressi soprattutto nel campo dell’agricoltura hanno suscitato l’interesse sia della gente comune sia delle alte cariche del nostro stato.

Il primo a prendere la parola è stato il giornalista del Corriere Carlo Baroni, il quale ha affermato che Israele è un paese giovane, ma che a differenza di altri ha saputo coniugare giovinezza e modernità, aggiungendo inoltre che l’Italia ha molto da imparare al riguardo se vuole dare un futuro ai giovani. Da questo punto di vista, Israele appare diversa non solo dall’Italia ma anche dagli Stati Uniti, che secondo un articolo di Paola Peduzzi uscito recentemente sul Foglio stanno vivendo una forte regressione sociale oltreché politica.

Subito dopo ha parlato Claudia Maria Terzi, assessore all’ambiente per la Regione
Lombardia, che ha ringraziato il KKL per il suo lavoro di promuovere la reciproca conoscenza. L’anno scorso, infatti, insieme hanno dato inizio a una collaborazione non solo istituzionale ma anche di amicizia, che l’ha portata a viaggiare in Israele come rappresentante delle industrie lombarde. Ha spiegato che, sebbene il mondo cambi velocemente, questa nuova industria avrà comunque bisogno di un elemento chiave: la sostenibilità. Ciò in quanto siamo sempre più consapevoli che ciò che facciamo ora influenzerà il nostro futuro, e ormai la crisi ci ha insegnato che non possiamo rimanere inerti di fronte ai problemi e sperare che passino da soli, bensì affrontarli con la conoscenza e sviluppando le piccole e medie imprese. Per far ciò occorre fare quattro mosse: 1) ridurre le materie prime, 2) riciclare, 3) ridurre il consumo di energia e 4) creare un mercato con materie riciclate. Ha concluso salutando i presenti da parte del Presidente della Regione Roberto Maroni.

In seguito è stato proiettato un video per i 116 anni dalla fondazione del KKL, che ne ha illustrato le attività in Israele e nel mondo. Al termine del video, è intervenuto Sergio Castelbolognesi, Presidente di KKL Italia, il quale ha raccontato come “nel 1901 i nostri avi pensavano che fosse folle l’idea di avere una nostra terra, eppure è successo: piantarono alberi, costruirono i kibbutzim e hanno sconfitto il deserto, tanto che chi ha visitato il paese 40 anni fa oggi nota la differenza. Il KKL ha aiutato molto Israele a risolvere, tra le altre cose, i problemi idrici costruendo enormi bacini per l’acqua e a migliorare le condizioni degli ospedali, aiutando numerosi disabili senza distinguere per la razza o la religione”. Ha inoltre aggiunto che con l’Expo si è dimostrato a 2 milioni di persone che Israele non è solo guerra ma è anche ricerca, sviluppo e futuro. Attualmente stanno studiando anche come crescere piante con l’acqua salata, più reperibile di quella dolce, e poter fare a meno dei pesticidi.

Dopo di lui è stata la volta di Natalie Gutman-Chen, Ministro per gli Affari Commerciali presso l’Ambasciata Israeliana, che ha ringraziato i presenti dell’invito per poi raccontare alcune storie sugli accordi commerciali tra Italia e Israele: ad esempio, sulla Fiat 500 prodotta in Israele macchine e che va interamente a metano, riducendo notevolmente le emissioni di CO2.

E infine è venuto il turno di Erez Tsur, dirigente d’azienda che amministra numerosi progetti di ricerca e sviluppo. Egli ha cominciato elogiando la lingua italiana, da lui definita “magica.” Dopodiché ha citato Shimon Peres, il quale una volta disse: “In Israele, una terra priva di risorse naturali, abbiamo imparato ad apprezzare la nostra risorsa più preziosa: le nostre menti.” Egli investì molto nell’innovazione, ma diceva anche che se vogliamo la pace dobbiamo saper condividere ciò che abbiamo con i nostri vicini. Tsur ha poi spiegato che investire in una start up è rischioso, non tutte le idee vengono finanziate, dopodiché ha iniziato a raccontare dal principio la storia dell’innovazione israeliana: l’industria high-tech ha iniziato a evolversi negli anni ’60, quando Israele venne isolata in seguito alla Guerra dei Sei Giorni, e il governo decise per questo di investire sulla tecnologia, tanto che oggi la percentuale di prodotto interno lordo che Israele investe in ricerca e sviluppo supera quelle della Cina e dell’UE messe insieme.

Tra i tanti progetti che sono stati finanziati negli anni, spiccano ad esempio: la compagnia Mobileye, specializzata in sensori per le macchine e recentemente acquistata dalla multinazionale Intel per 15 miliardi di dollari; il progetto ARGO, che serve a far camminare di nuovo chi è senza gambe; Vayyar, che produce sensori che servono a rilevare il cancro e a vedere attraverso i muri. Inoltre, spesso chi inventa una nuova app o un nuovo apparecchio inizialmente lo fa a causa di esperienze personali, che a volte però li portano a diventare miliardari in breve tempo. Israele è il 2° paese al mondo con la maggiore innovazione, con oltre 4800 start up. Tale spirito imprenditoriale, oltre che dalle accademie e dall’immigrazione, è aiutato anche dal governo, che esenta dalle tasse gli investitori stranieri.

In più, tra i nuovi progetti che Tsur aspira a realizzare, vi sono cellulari che si ricaricano in un minuto, macchine elettriche che si caricano in 5, e altro ancora; anche se, come egli stesso ammette, è tutto molto più complicato di come sembra. Quando gli è stato chiesto se certi israeliani, allo stesso modo di molti occidentali, avessero paura dell’automazione e in generale di questi cambiamenti così rapidi, ha risposto che capisce la paura ma che non dobbiamo essere conservatori, anche perché l’industria già in passato ha cancellato dei lavori per poi crearne di nuovi.