Le grandi sfide di Israele secondo Sergio Della Pergola

Israele

di Paolo Castellano

Sergio Della Pergola a sinistra) e il giornalista Marco Paganoni
Sergio Della Pergola a sinistra) e il giornalista Marco Paganoni

L’8 marzo presso l’Umanitaria di Milano si è svolto l’incontro con il Prof. Sergio Della Pergola intitolato Israele in una politica che cambia e organizzato dall’Associazione Italia-Israele. Ha condotto la serata Marco Paganoni, giornalista e direttore del sito d’informazione www.isreaele.net

Sono stati molti i temi affrontati da Della Pergola. Egli ha infatti parlato del crescente antisemitismo europeo: «Torno da Vienna in cui si è tenuto un meeting sui gruppi che discriminano le minoranze. Ho coordinato la parte italiana dello studio europeo e grazie a questo documento l’Europa ha finalmente compreso che l’antisemitismo non è scomparso e non si manifesta solo con le scritte sui muri. Questo terribile fenomeno prosegue e noi abbiamo il dovere di capire se ci sono tendenze che possano migliorare o peggiorare questa situazione. Personalmente ho davanti a me un panorama abbastanza oscuro. Il tema dell’ostilità nei confronti degli ebrei continua a persistere seppur in veste diversa dal passato.

Che cos’è l’antisemitismo oggi? Secondo le mie ricerche ce ne sono 3 tipi: il primo riguarda l’ebreo troppo potente, forte e ostile, che secondo gli antisemiti è un elemento estraneo alla società; il secondo si manifesta nella negazione della Shoah; il terzo prende forma con la delegittimazione dello stato di Israele.

Israele è un Paese che si presta a molte critiche perché è un democrazia e questa tipologia di governo legittima le riflessioni democratiche. Attualmente in Israele ci sono 13 partiti che ogni giorno si confrontano sul piano politico e le idee che circolano sono molto diverse. Nel mio Paese dunque c’è un ampio margine di discussione. Però chi dice di criticare Israele per poi negarne il diritto di esistere sta commettendo un atto antisemita.

Ci siamo chiesti allora se esistono forme di discriminazione effettiva. La risposta è positiva se osserviamo quello che succede in Internet e ciò che accade a livello Accademico: ci sono atteggiamenti infami che godono di una protezione indiscussa e francamente ciò è inaccettabile. La reazione a questi fenomeni è però scarsa. È vero che negli ultimi anni in Italia c’è stata una legge sul negazionismo, ma non so se ci sia un giudice disposto ad applicarla senza cavilli.

Per limitare l’antisemitismo le istituzioni dovrebbero dare peso all’educazione nazionale sulla Shoah secondo le raccomandazioni dell’Unione Europea. Siamo soddisfatti di queste raccomandazioni? Forse si potrebbe far di meglio».

Durante il suo intervento il prof. Della Pergola ha toccato molti punti della politica estera di Israele ma si è anche soffermato su quella interna che al momento è molto travagliata: «il 5 giugno, saranno 50 anni dalla guerra dei 6 giorni. Mi ricordo che da giovane, quando abitavo in una casa per studenti, vedevo dalla mia finestra l’artiglieria nemica che sparava cannonate sul campus di Gerusalemme dalla Cisgiordania. Sono ricordi indelebili e non voglio un futuro di guerra ma di sicurezza. Sono favorevole a un dialogo ma è necessario tutelarsi da possibili ritorsioni. Conciliare queste due esigenze, come sappiamo, non è affatto facile. Quando Sharon fece ritirare Israele da Gaza, il giorno dopo il ritiro incominciarono a piovere razzi. Abbiamo imparato la lezione ed è per questo che Israele è così prudente.

Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha affermato che per lui è indifferente l’istituzione di uno o più stati per raggiungere la pace. Credo che la proposta di un solo stato sia solo una provocazione e che non sia fattibile soprattutto per una questione culturale.

Per discutere seriamente sul futuro di Israele non bisogna trincerarsi dietro idee che sono giuste ma un po’ troppo ideologiche. Lo Stato ebraico deve incominciare a sviluppare un solido piano di politica estera convincendo i propri partiti politici a interessarsi di meno ai loro interessi interni. Israele è al 20 posto tra i Paesi più sviluppati. Esiste una grande potenzialità che va sfruttata.

Per progredire soprattutto in politica estera Israele ha bisogno di una solida leadership. Troppi primi ministri non hanno avuto il coraggio di rompere il tetto di vetro per rischiare, ma se non si rischia non si arriva da nessuna parte. Le potenzialità esistono ma bisogna tradurle».