Rav Laras per la visita di Scola alla sinagoga: «Facciamo della Bibbia il futuro delle nostre Comunità»

Italia

di Rav Giuseppe Laras

larasPubblichiamo l’intervento di Rav Giuseppe Laras, Rabbino emerito di Milano, in occasione della visita del Cardinale Arcivescovo Angelo Scola alla sinagoga di Milano. Il testo è stato letto da Roberto Jarach, vicepresidente del memoriale della Shoah.

Saluto di cuore tutti i convenuti, con particolari sentimenti di vicinanza e amicizia nei riguardi del ns. gradito ospite S.E il Cardinale Scola, Arcivescovo Metropolita di Milano, e del mio stimato successore, il carissimo Sig. Rabbino Capo Rav Alfonso Arbib shlita.

Esistono molte tentazioni -più o meno subdole, più o meno sanguigne-, e cedervi può ben accadere. Lo sperimentiamo tutti.

Tutti possiamo a buon diritto cedere alla tentazione di ritenere il dialogo ebraico-cristiano irrilevante, dato che coinvolge pochi interpreti, le cui fila sono rese sempre più esigue da frizioni intestine; ricerca di un “posto al sole”; provvedimenti improvvidi da parte di persone di cui si vorrebbe potersi fidare, spesso presentati sottoforma di “aperture”; età media altissima dei partecipanti; presunti intellettuali lontani dal reale e dalla concretezza, noiosi e autoreferenziali.

Che dire poi del fatto che in tutte queste nostre iniziative mancano i giovani -e i giovani reali, quelli che sosterranno le nostre comunità e la vita culturale, politica ed economica del Paese nel futuro-? Senza giovani non si va da nessuna parte! Senza il coinvolgimento dei giovani siamo condannati! E la nostra società occidentale, appunto, a causa di pessime filosofie, che si sono insinuate nelle ultime decadi con effetti deleteri anche nella vita di entrambe le nostre Comunità di fede, è invecchiata e si è indebolita. Tutto ciò sta portando e porterà ancora tanto male e si sta abbattendo come un’inesorabile scure sia sulle Chiese che sulle Comunità Ebraiche in Occidente.

Si può lamentare -ed è vero- che il Dialogo ebraico-cristiano sia un’appendice della vita del cristianesimo, spesso poco praticata e mai realmente fattivamente additata dai suoi pastori alla maggior parte dei fedeli. Un’appendice -tuttavia- interessantissima e promettente, rispetto a un passato funesto e doloroso e a un presente per nulla facile, colmo di insidie. Purtroppo gli insegnamenti conciliari e successivi sul dialogo tra cristiani ed ebrei -unico e speciale da entrambe le parti- sono restati spesso lettera morta, anche nelle omelie quotidiane di insigni uomini di Chiesa.

Ci si può lamentare, non senza ragioni, che gli ebrei sono spesso restii a questo dialogo, con molte perplessità, timori, risentimenti, amarezze. E che si rivendica troppo spesso il passato a fronte del futuro. Se questo può esser vero, va tuttavia ricordato che la storia antica e recente subita da parte ebraica in relazione al cristianesimo ha un enorme peso, che affatica e rallenta il passo. Inoltre, anche a livello sociologico, è naturale che una “minoranza assoluta” -gli ebrei- eriga attitudini di difesa rispetto a una “maggioranza assoluta” -i cristiani, in questo caso-, inevitabili per sopravvivere e non farsi fagocitare, anche riconoscendo le effettive buone intenzioni di questi ultimi.

E che dire, infine, del fatto che, per motivi strumentali e ideologici, dall’affermazione, sempre più scientemente ridotta ad anticaglia dismessa, delle “radici ebraico-cristiane” dell’Occidente, si sia passati all’affermazione del futuro “islamo-cristiano” dell’Europa? Le parole hanno un peso enorme, al pari della loro assenza (in questo caso l’espunzione dell’aggettivo “ebraico” in relazione al futuro collettivo), e lasciano intendere molte cose.

E allora? Chiudiamo “baracca e burattini” oppure, come talvolta sostengono i detrattori, continuiamo elegantemente “a prenderci in giro”?

No! Questo ci obbliga a individuare severe e caparbie nuove strategie per l’implementazione sincera del dialogo ebraico-cristiano. Questo ci obbliga a resistere ai disfattisti bi-partisan e ai colpi di mano di alcuni, anche se in altissimo loco.

Non possiamo e non vogliamo cedere per non tradire e profanare la memoria di quegli eroi cristiani, laici o religiosi, che -in quanto cristiani- difesero gli ebrei, anche a costo della vita, non solo perché essere umani in generale, bensì proprio perché ebrei nello specifico, individuando così tra noi un vincolo unico. Non possiamo e non vogliamo cedere, dissipando il patrimonio, pur fragile e forse esiguo, conquistato sinora, per non tradire la memoria e la fiducia di quegli ebrei -religiosi e no- che, con non minore coraggio, hanno ritenuto di riaprire i loro cuori e le loro menti a cristiani positivamente e amichevolmente disposti verso Israele e il suo mistero, che passa necessariamente -e non incoerentemente- oggi anche per la ritrovata sovranità nazionale ebraica in Terra di Israele, dato che la maggior parte del nostro Popolo vive lì e che da lì per lo più promana la voce della Torah nella nostra generazione.

L’antisionismo è la terza grande riedizione dell’antisemitismo, che fu dapprincipio religioso e poi, secoli dopo, una volta laicizzatosi, razziale. Tale sentimento e ideologia è forse una riedizione del veleno subdolo di Marcione, che fu dapprima teologico, poi etico, infine forse oggi politico, proiettante comunque sugli ebrei -che vogliono essere tali e che lo vogliono per la propria discendenza- le medesime ombre di disprezzo e di morte. Che si sia ben cauti e che ci si tuteli, anche oggi, anche in relazione a Israele, rispetto al devastante e disorientante veleno di Marcione!

Non possiamo e non vogliamo cedere però, in primo luogo, per non tradire ed erodere il futuro di entrambe le nostre Comunità e di chi verrà dopo di noi, che forse vede già minate molte possibilità di pieno sviluppo a causa di un presente divenuto angusto e vile.

Spetta stavolta, in questo rapido e decisivo snodo della storia occidentale come pochi altri ve ne sono stati, a tutti noi, cristiani ed ebrei, cogliere l’opportunità per fare della Bibbia il futuro, diverso eppur sinergico, delle nostre due Comunità di fede, ridando linfa alla civiltà occidentale. E spetta con urgenza estrema ancora a noi restituire alla Bibbia la sua voce reale, escatologica e divina, che non può essere in alcun modo ridotta a manuale laico per assistenzialismi, buonismi e pacifismi di sorta. Quest’ultima dilagante, perversa attitudine coincide con l’offesa della moralità e dell’intelligenza dei non credenti e con lo svilimento del ruolo e dell’identità del credente, che è anch’egli peccatore e per nulla esente da colpe o meschinità. La riduzione della Bibbia a sola etica mondana o a utopia è una forma né coraggiosa né onesta di ateismo.

È la Bibbia che, pur spesso in versione laicizzata, ha fatto innamorare l’Occidente delle libertà individuali -un bene assolutamente non negoziabile!- a fronte delle libertà collettive degli antichi e di altre culture pur rispettabili. È la Bibbia che ha reso, attraverso l’economia straordinaria dell’Alleanza, l’uomo libero anche rispetto al suo Dio e non assoggettatoGli, ancorché in partnership con il suo Creatore. È ancora la Bibbia che ha insegnato a declinare la libertà non in arbitrio -come invece testimoniano tristemente certe attitudini odierne- ma in responsabilità, accettando liberamente il giogo divino.

Tacere tutto questo per compiacere il mainstream ci rende non autentici, deboli e forse anche stupidi!

Se perderemo questo tempo difficilissimo e unico, oziando, chiudendo gli occhi o dissimulando, andremo in perdizione e con noi andrà in perdizione il lascito sofferto dei nostri padri e il futuro dei nostri nipoti, cosa quest’ultima ancor più intollerabile. Forse sarà solo il vero dialogo ebraico-cristiano a poter salvare, se la Chiesa e gli ebrei ci crederanno e oseranno, il futuro dell’Europa e del mondo libero.

Che l’Eterno e provvidente Unico Signore stenda su noi tutti la Sua pace e la Sua benedizione e rafforzi il nostro sincero dialogo e la nostra cooperazione.