De Bortoli: «Gli eventi della Shoah meritano una memoria distinta e separata»

Eventi

Le trappole della Rete. I pericoli della semplificazione. Il rischio che il 27 gennaio diventi un rito vuoto. Parla il Presidente del Memoriale della Shoah

Ferruccio De Bortoli
Ferruccio De Bortoli

«Uno dei pericoli che vedo oggi è quello della stanchezza rituale della Memoria». Così, lapidario, si esprime Ferruccio De Bortoli, Presidente del Memoriale della Shoah di Milano, Presidente Longanesi e Vidas, ex direttore del Corriere della Sera e del Sole 24ore, a cui abbiamo chiesto una riflessione sul Giorno della Memoria. «Guardare alla Shoah oggi vuol dire guardare a un Paese, l’Italia, che non è stato ancora in grado di fare un vero esame di coscienza su quegli accadimenti, nel silenzio dei molti e nella complicità dei tanti. Lo stesso vale anche per la Francia, che ha guardato male e poco al suo passato collaborazionista e a Vichy (non sarà forse anche questo, in parte, il motivo del successo del Front Nationale di Marine Le Pen?)».
Come combattere quindi il rischio di museificazione?
Il filosofo francese Alain Finkielkraut, nel libro La seule exactitude, sostiene che il mondo contemporaneo è prigioniero delle proprie memorie, un culto della memoria che finisce per precludere un pensiero vero sulla contemporaneità. Siamo talmente prigionieri del peso del passato da essere diventati incapaci di pensare il futuro, dice Finkielkraut. Una tesi questa che rigetto e che non condivido affatto, tanto pericolosa sul versante civile quanto affascinante sul cotè intellettuale. Tuttavia, il rischio che il Giorno della Memoria possa trasformarsi in un rituale sterile e vuoto c’è, e abbiamo il dovere di stare in guardia. Abbiamo bisogno di un esercizio onesto della memoria per poter mettere su di un giusto piano gli eventi storici.
Allude per caso al fenomeno cosiddetto della “concorrenza” delle memorie? Quella che oppone alla Shoah, le altre tragedie del XX secolo?
Sì, certamente. In proposito c’è da fare un discorso che metta ordine tra le varie memorie multiple dei nostri tempi e le relative tragedie a cui si riferiscono (la memoria dello schiavismo, quella degli armeni, quella del colonialismo, quella degli etnocidi tribali come quello ruandese tra hutu e tutsi…, ndr). Sia chiaro: tutti hanno diritto ai loro ricordi dolorosi, ma dobbiamo separare per poter capire e conoscere, non fare confusione tra le varie memorie, pena il rischio di non rendere giustizia a nessuno. Gli eventi della Shoah meritano una memoria distinta e separata, e restano unici. Dire “tutto è memoria” è sbagliato, il rischio è che ogni accadimento precipiti in un indistinto rumore di fondo che non rende giustizia e annega ogni cosa in quel “politicamente corretto” che mette tutti sullo stesso piano».
Ferruccio De Bortoli è da sempre molto sensibile al pericolo che, sul piano storico, può rappresentare la Rete, popolata da stravaganti quanto suggestive teorie che riscrivono la Storia. «In Rete si tende a non credere più alla Storia, la quale viene esposta a una continua semplificazione dei fatti finendo così per dare risposte banali a problemi complessi. Ad esempio, le teorie antisemite e negazioniste hanno un grande successo in Rete: ecco perché il nostro compito educativo deve andare nella direzione di un esercizio onesto della Memoria, insegnando ai giovani l’importanza di coltivare il passato ma a patto che non venga vissuto come un obbligo.
Come procedere allora?
Diventando avvincenti e credibili. Se non saremo in grado di raccontare la Storia in modo appassionante e sfumato, con le sue zone grigie, i suoi lati oscuri, con le viltà, le debolezze e le complicità, allora avremo fallito, perderemo la partita di trasmettere la memoria. Viceversa, se ci sforzeremo di trovare modi di raccontare originali, che colpiscano l’immaginazione e che sappiano creare identificazione, allora sarà possibile dare senso al Giorno della Memoria. Perché la storia si può ripetere, attenzione, ed è a questo che deve servire il 27 gennaio.
Come creare i giusti anticorpi? Cosa fare per rendere vicino il lontano?
Dando forza al ricordo. Il 27 gennaio non riguarda gli ebrei, è una giornata italiana e riguarda tutti, l’intera nazione. Viceversa, il rischio è di cadere nella “trappola risorgimentale”, la Storia che diventa oleografica e caricaturale, vuota. La Memoria va attualizzata, va vissuta come una forma di manutenzione civile della coscienza. Ecco perché la Giornata del 27 riguarda il nostro presente, la contemporaneità (non dimentichiamoci che quest’estate, durante l’emergenza profughi, il Memoriale ha dato asilo a 5 mila migranti).
Che programma avete come Memoriale per il 2016?
Proietteremo nelle scuole il film di Alberto Caviglia, Pecore in erba, molto chiaro e ironico sulla genesi psicologica dell’antisemitismo. Inoltre, ospiteremo una mostra a cura del Cdec, La liberazione dai campi nazisti, la stessa che c’era al Vittoriano a Roma. Si tratta di lavorare alla “costruzione” della Memoria delle generazioni future. Anche perché abbiamo una scelta drammatica davanti agli occhi: cosa accadrà quando morirà anche l’ultimo testimone?