Capire come e perché nasce il Male

Eventi

di Ugo Volli

Louis Ferdinand Celine
Louis Ferdinand Celine

Non dimenticare il Male è un dovere, come è sempre stato chiaro all’ebraismo, partendo dal famoso comando della Torah di “ricordare Amalek” (Deut. 25, 17). Solo così si può sperare di evitare il ripetersi dell’antisemitismo, delle persecuzioni, dei genocidi. È questa anche la ragione delle giornate della memoria istituite negli ultimi anni. Ma bisogna fare attenzione, una Memoria generica non basta, può perfino essere dannosa, diluendo la condanna del genocidio in una grossolana lamentela sui mali del mondo, sulla cattiveria, sul razzismo e sull’intolleranza.
Quando si parla di crimini fuori da ogni misura come i genocidi, quel che bisogna ricordare sono le circostanze concrete che li hanno determinati, il bersaglio, le origini, gli appoggi, soprattutto le “ragioni” con cui poterono conquistare il consenso necessario.
Ciò è particolarmente vero  per la Shoah, che fu attuata nel cuore dell’Europa “più civile” e dunque aveva bisogno di giustificazioni e alibi culturali. Bisogna dunque ricordare sì i campi, le stragi i milioni di morti; ma soprattutto il contesto che ha reso possibili, accettabili, normali, perfino lodevoli questi crimini.
Bisogna cioè interpellare non solo la propaganda di regime ma anche l’alta cultura. Chiedersi il ruolo che ebbero in queste vicende grandi filosofi come Martin Heidegger, giuristi come Carl Schmitt, scrittori come Ernst Jünger, Ezra Pound e Louis F. Celine – per fare solo i nomi più famosi. Guardando alla storia di costoro, si vede che essi aderirono con entusiasmo all’impresa nazista, rifugiandosi in un corrucciato silenzio quando divenne evidente che non potevano strumentalizzarla o che essa sarebbe stata sconfitta; ma anche che seppero per lo più sottrarsi alla punizione o ne ebbero danni minori e passeggeri, pensatori che sono tornati da tempo sulla cresta dell’onda, senza mai pentirsi o denunciare il loro passato.  È in questo quadro che bisogna valutare il caso Heidegger, tornato di nuovo d’attualità dopo la pubblicazione dei suoi appunti segreti (i “Quaderni neri”, il cui primo volume è uscito anche in Italia) dove emerge l’antisemitismo del filosofo e alcuni libri (fra cui, nell’ultimo anno, ben due di Donatella di Cesare, ex vicepresidente della società a lui dedicata; e un altro libro del curatore della sua opera omnia, Peter Trawny).
Non si tratta qui di discutere, come fanno questi autori, se Heidegger, benché antisemita, resti l’asse della filosofia del Novecento, ma di valutare quanto l’appoggio di un grande filosofo (e di grandi giuristi, scrittori, musicisti, ecc.) abbia legittimato il nazismo e dunque aiutato la Shoah. Negli anni Trenta il mondo intellettuale tedesco (e non solo quello) si è diviso fra chi è andato in esilio o è finito nei Lager, o almeno si è rifugiato nel silenzio, e chi ha aderito al nazismo. Heidegger appartenne con molta convinzione a questo gruppo, aderì al Partito nazista, si fece nominare rettore, fece discorsi e “azioni” naziste.
Oggi vediamo che era sincero: un sincero antisemita irritato dalla scarsa coerenza del regime. Ma non è questo che conta. Dobbiamo ricordare che non solo lui, ma la sua filosofia, come la teoria del diritto di Schmitt, la “fisica tedesca” dei premi Nobel Lenard e Stark, ecc. furono pensati al servizio del nazismo. Solo così potremo scartare l’immagine grottesca di un regime governato da un folle circondato solo da meri “banali” esecutori. E potremo combattere l’antisemitismo che oggi si sparge di nuovo in Europa, anche grazie all’egemonia culturale degli eredi dei nazisti non pentiti.