Pesach: credere nella Libertà

di Daniele Cohenca

image_previewI nostri avi in Egitto furono schiavizzati per secoli, oppressi, vilipesi; i loro figli condannati a morte, le mogli e le figlie costrette a vivere nel terrore.
Un giorno, improvvisamente, si presenta qualcuno che, con credenziali di tutto rispetto,  inizia a fare loro promesse di libertà; Moshè portava loro il messaggio divino della redenzione imminente, della libertà dalla schiavitù e garantiva la sicurezza di una terra fertile in cui abitare. Tuttavia, la Torà ci descrive la reazione dei figli d’Israele: “E loro non ascoltarono Moshè per la loro ristrettezza di spirito e per il duro lavoro”.
I nostri Maestri spiegano che il versetto non può essere interpretato solo in maniera letterale; nonostante è indubbio che fossero davvero stanchi e che il faraone li avesse privati della possibilità di praticare la fede, il versetto meriti una spiegazione più profonda: i figli d’Israele non erano in grado di cogliere il messaggio di salvezza divino trasmesso da Moshè, non solo a causa dell’enorme sforzo fisico cui erano sottoposti, ma anche e soprattutto per il fatto che “mancavano di spirito”. In altre parole, l’aver sofferto in schiavitù per così tanto tempo, avrebbe tolto loro la capacità di avere fede, di credere che la libertà fosse ancora qualcosa di realmente raggiungibile. Inoltre, mai nella storia dell’Egitto un singolo schiavo era riuscito a scappare; come sarebbe stato possibile far uscire un’intera nazione? Capita a tutti di essere talmente persi nella propria mediocrità da non vedere nemmeno la più piccola possibilità di cambiare le cose e di perdere la voglia di combattere.
Un grande Maestro chassidico, Reb Mendel Futerfas, era solito dire: se perdi i tuoi soldi, non hai perso nulla; i soldi comunque vanno e vengono. Se hai perso la salute, hai perso metà di te stesso. Se hai perso la voglia di combattere, sei finito”. Pèsach non è solo l’obbligo di rivivere ogni anno l’uscita dall’Egitto: è la possibilità di ognuno di riguadagnare la “propria libertà”, il dovere di uscire dai propri limiti.
Moshè non era un sognatore: egli riportò in vita uno spirito nuovo a una nazione di schiavi, grazie anche ai miracoli divini. Capita a tutti di essere tristi, a volte anche un poco depressi. Perdere lo spirito invece, è una cosa che non ci possiamo permettere.