La rivelazione di Sinai

di Daniele Cohenca

ShavuothLa Torà ci racconta gli avvenimenti della settimana che precedette la promulgazione della Torà ed il Talmud (Shabbat 86b, 88a) ci presenta una cronaca piuttosto dettagliata degli eventi, ed esordisce così: “Il primo di Sivan, Mosè non disse nulla al Popolo in quanto tutti erano affaticati dal viaggio”.
La rivelazione di Sinai rappresentò il culmine ed il compimento dell’Esodo. Molti mesi prima, sempre a Sinai, D-O apparì a Mosè nel roveto ardente e gli ordinò di guidare il popolo ebraico fuori dall’Egitto dicendogli: “questa è la prova che sono Io ad averti mandato: quando porterai la nazione fuori dall’Egitto, servirete D-O su questo monte”.
Dal momento in cui Mosè portò loro la promessa di redenzione, i figli di Israele hanno atteso con grande ansia la rivelazione di Sinai, per il fatto che Mosè promise loro molto di più che una fuga dalla schiavitù d’Egitto: egli promise la libertà definitiva, la libertà dai limiti e dalla mondanità di una vita materiale. Mosè promise loro la visione della realtà Divina e la potenzialità di incorporare la Sua eternità nelle loro vite.
Dunque, dal giorno che lasciarono l’Egitto, i figli di Israele letteralmente contavano i giorni che mancavano al compimento della promessa. Fino ad oggi noi condividiamo questa loro attesa di 49 giorni con il nostro “conteggio dell’Omer”.
Alla luce di questo e di quanto il Talmud ci dettaglia dei 6 giorni che precedettero il dono della Torà,  quanto accadde – o, meglio, quanto NON accadde – il primo di Sivan, resta difficile da capire. Il Talmud ci spiega infatti che in quel giorno “Mosè non disse nulla…”; è tuttavia umano che quanto più ci si avvicina ad un importante evento programmato, quanto più si desidera che lo stesso si realizzi.
Diamo un’occhiata più da vicino a ciò che la Torà ci racconta sulle faccende del popolo Ebraico il primo giorno di Sivan: “Il terzo mese dall’uscita dei figli di Israele dalla terra d’Egitto…ed Israele si accampò lì… Nel suo commento a questi versi, Rashi nota l’inusuale utilizzo della forma singolare per il verbo “si accampò” invece della forma plurale “si accamparono”, visto che si parla di tutta la nazione ebraica. Rashi spiega che essi “si accamparono come una singola persona con un singolo cuore, a differenza di altre situazioni in cui l’accamparsi era accompagnato da dispute e dissensi”.

 

Pure se a volte costruttive e positive, le dispute ed i dissensi erano intollerabili nell’accampamento del Sinai, poiché tuttora una parte importante della nostra preparazione alla ricezione della Torà è lo sradicamento delle differenze di visione e di comprensione. A questo punto, possiamo dedurre che la loro stanchezza non era dovuta al viaggio in senso fisico, quanto all’enorme difficoltà di prepararsi spiritualmente e psicologicamente ad una totale passività.
È davvero così? Davvero D-O ci chiede una totale passività ed una trascendenza dei nostri sensi anche intellettivi nei confronti della Torà?

Questo grande non-evento del primo di Sivan fu seguito da cinque giorni di intensa preparazione spirituale, psicologica e materiale alla ricezione della Torà.
Per capire la Torà, per fare propria l’essenza Divina che è inclusa nella Torà stessa, è necessario rimuovere gli impedimenti intellettuali, psicologici e materiali che ci impediscono di acquisirne l’integrità. Ma una volta creato “lo spazio nella nostra mente e nei nostri cuori” per la Torà, dobbiamo riattivare le nostre facoltà individuali per assorbire e capire ciò che abbiamo ricevuto.
Infatti già dal secondo giorno anche a Sinai riemersero le differenze: all’interno del recinto, furono divisi il popolo, i Sacerdoti, Aaron e Mosè, poiché da quel momento, una volta ricevuta la Torà tutti allo stesso modo, ognuno dovrà applicarla alla propria vita quotidiana, con gli strumenti che gli sono propri, con le proprie cognizioni ed esperienze.