Che sia un anno di benedizioni

Ebraismo

di Rav Alfonso Arbib – Walker Meghnagi

I dieci giorni che vanno da Rosh Hashanà a Kippùr si chiamano Asèret yemè teshuvà, Dieci giorni di teshuvà. La teshuvà è il concetto fondamentale intorno a cui ruotano le ricorrenze con cui comincia l’anno ebraico, ma è anche uno dei pilastri della tradizione ebraica. Che cos’è la teshuvà? La parola può essere tradotta in vari modi: pentimento, ritorno (a Dio, alla Torà, a se stessi…). L’idea è che si può cambiare, ci si può rinnovare, che niente è stabilito per sempre, che si possono correggere i propri errori. Non solo ma la teshuvà può portare la persona a un livello molto alto. Nella Haftarà che leggiamo nello shabbàt che precede Yom Kippùr è scritto: “Torna Israel fino al Signore Dio tuo”. I Chakhamìm commentano questo verso dicendo: È grande la teshuvà perché arriva fino al Trono divino. I Maestri dicono anche che in un posto in cui ci sono persone che hanno fatto teshuvà non possono stare neanche i giusti completi. La nostra Comunità e l’intero popolo ebraico ha vissuto e vive momenti difficili. Negare le difficoltà e non riconoscere i problemi è sempre un errore ma è un errore ancora più grave farsi abbattere dalle difficoltà. In un verso dei Tehillim è scritto: “Poiché sono caduto mi sono rialzato, quando sono nell’oscurità Dio è la mia luce”. I Chakhamim dicono che in questo verso non solo si sottolinea la capacità di rialzarsi da una caduta ma che la caduta può essere la spinta per rialzarsi. Noi abbiamo le energie e la forza morale per rialzarci. La nostra Comunità e il nostro popolo hanno una forza straordinaria che si esprime soprattutto nelle grandi capacità personali e collettive di fare del bene. Per poterlo fare è però necessario tener presente l’ultima parte del verso che abbiamo citato: “Quando risiedo nell’oscurità Dio è la mia luce”. Dobbiamo essere capaci cioè da una parte di avere fiducia nelle nostre forze ma dall’altra di non insuperbirci, di capire che ci è indispensabile l’aiuto di Dio e che è fondamentale che la nostra teshuvà abbia una direzione precisa (Hashèm è la mia luce).
Auguro a tutti noi che possiamo meritare con l’aiuto di Dio un anno di serenità, di pace, di Torà e di buone azioni. Tachèl shanà uvirkhotèha, cominci l’anno con le sue benedizioni.
Rav Alfonso Arbib

Un anno di pacificazione
Un anno difficile questo 5774 che ci lasciamo alle spalle, annus terribilis per gli eventi che si sono prodotti e che sono ancora in corso. Questa guerra che Israele ha dovuto affrontare, vede la Comunità di Milano in prima linea nel sostegno all’intera società israeliana, e tutti gli enti ebraici sono stati coinvolti nella salvaguardia del principio della legittimità di Israele a difendersi, poiché, fa male dirlo, c’è ancora chi, ogni qualvolta si profila uno scenario di guerra, ne mette in dubbio il diritto all’esistenza.
Un anno difficile anche sul fronte interno. Dopo il primo choc provocato dal caso Lainati, oggi stiamo riorganizzando tutto l’aspetto gestionale comunitario: l’impianto del personale, i costi e le uscite, tutto monitorato con controlli verticalizzati (eseguiti da una società esterna). Abbiamo preso in mano la situazione e, lo ribadisco, andremo fino in fondo. Ogni tipo di guerra che il popolo ebraico deve affrontare ci ricorda l’importanza di restare uniti. E ci parla della capacità di controllare dissidi e dissapori facendoli sfociare in una dialettica costruttiva. Cercando di non perdere mai di vista l’obiettivo: ovvero che il confronto delle parti e delle idee, e la prassi da seguire, veda tutti coinvolti con la stessa onestà e qualità di impegno. Si dice, nel mondo chassidico, che il meglio è spesso nemico del bene. Intendendo con questo adagio che la ricerca del meglio risponde quasi sempre a criteri dettati dalla fretta e da una visione di corto raggio, mentre la ricerca del bene obbedisce a una visione di più ampio respiro, e sfugge a logiche di azione-reazione. Cercare di fare il bene implica il seguire una strategia di medio-lungo periodo; fare il meglio, significa stupire con effetti speciali nell’immediato e rispondere a botta calda ciò che ci detta il momento e il qui e ora. Credo che questo sia un principio da non perdere mai di vista. E che l’obiettivo di tutti, in questa accezione, sia cercare, appunto, il bene. Con questo nuovo anno che si apre, in occasione delle feste solenni e dei Moadim, vorrei quindi augurare alla nostra Comunità, a Israele e a Am Israel tutto, un anno di pacificazione e di normalizzazione, e che si chiuda ogni fronte aperto per imboccare una via di maggiore serenità. A tutti voi, a tutti gli iscritti, faccio i miei più sinceri auguri per un anno ricco di meriti e di soddisfazioni, con l’augurio che il 5775 sia un anno pieno di gioia, di pienezza materiale e spirituale. A voi tutti Shanà Tovà umetukkà.
Il Presidente Walker Meghnagi