Eli Cohen, la spia di Damasco che permise a Israele di conquistare il Golan

di Alain Charbonnier *

Agente del Mossad, scoperto e impiccato sulla pubblica piazza, Eli Cohen siede nel Pantheon degli eroi d’Israele e della Guerra dei sei giorni. Una leggenda: grazie a lui Israele riuscì a localizzare e annientare l’aviazione araba, e a vincere. camaleontico, idealista e insieme capace di una sua purezza, la sua avventura umana non smette di sorprenderci

Mirage con la stella di Davide arrivarono dal mare, bassi sull’acqua. Ripresero quota in vista della costa, scavalcarono le alture del Golan e piombarono sugli aeroporti siriani. In pochi minuti fecero a pezzi 60 Mig, devastarono impianti e depositi di carburante. La seconda ondata puntò proprio sul Golan. I piloti dei Phantom presero d’infilata le colline, si allinearono con file di alberi di eucalipto e razzi e bombe demolirono impianti radar, postazioni di artiglieria, bunker. In quelle ore, stessa sorte era toccata alle aviazioni di Egitto, Giordania e Iraq: 452 aerei distrutti. La sera del 5 giugno 1967 l’aviazione da combattimento araba non esisteva più.
Israele aveva scatenato quella che sarebbe passata alla storia come la “Guerra dei sei giorni”, un capolavoro dello Shin Bet, lo spionaggio militare.
Un capolavoro che aveva preso le mosse fin dal 1956, dalla crisi del Canale di Suez. Undici anni a spiare le intenzioni, la preparazione militare, gli intrecci politici, le alleanze degli Stati arabi che circondano Israele, per prevenire ogni tentativo di distruggere il sogno realizzato di Theodor Herzl e di generazioni di ebrei fin dal tempo dei romani: il focolare.
«Per meglio mimetizzare le postazioni si potrebbero piantare degli eucalipti». Era una giornata di vento sulle alture del Golan.

Il suggerimento veniva da Kamel Amin Tsa’abet, alto esponente del regime, viceministro della Difesa siriana, amico intimo del Presidente Amin Hafiz e di molti generali siriani, in visita sulle alture che dividono Siria e Israele. Qualche anno dopo quegli alberi avrebbero consentito ai piloti dell’aviazione israeliana di traguardare e bombardare le posizioni siriane. Del resto, nessuno poteva immaginare che Kamel Amin Tsa’abet, uomo del partito Baath, musulmano devoto, speaker delle trasmissioni di propaganda diffuse da Radio Damasco, si chiamasse in realtà Eli ben Shaul Cohen, agente del Mossad.
La sua avventura era cominciata nel 1954, all’indomani della sfortunata “Operazione Shoshanna”: una serie di attentati dinamitardi a Il Cairo ed Alessandria. Un’azione di provocazione, organizzata da Tel Aviv, finita con l’arresto di alcuni ebrei residenti in Egitto. Fra loro anche Eli Cohen, classe 1924, rampollo di una famiglia israelita originaria di Aleppo, in Siria, emigrata in Egitto. Le prove a suo carico però sono troppo deboli ed Eli Cohen è rilasciato. Espulso dall’Egitto, dopo la “Guerra di Suez”, arriva a Tel Aviv e cerca un contatto con il Mossad. L’Istituto non vuole però avere a che fare con un personaggio coinvolto nell’Operazione Soshanna e lascia cadere il rapporto. Lo cerca qualche anno dopo, quando Eli Cohen è sposato e ha un buon impiego. Lui non vuole più saperne di fare la spia, ma quando il Mossad chiama non si può dire di no, con le buone o con le cattive.

Cohen, nel giro di qualche settimana, si ritrova senza lavoro e senza un soldo e le braccia del Mossad sono pronte ad accoglierlo.
L’Istituto lo addestra, gli fa studiare il Corano e il Diritto siriano, gli spiega che il suo obiettivo è Damasco, dove però arriverà dopo un lungo giro; crea per lui una “leggenda”, cioè una copertura, credibile e sostenibile: Kamel Amin Tsa’abet, perseguitato politico costretto a lasciare la Siria per emigrare in Argentina.
Il grande Paese sudamericano sarebbe stato il trampolino di lancio per Damasco. A Buenos Aires l’agente israeliano entra in contatto con esuli nazisti che lo presentano all’addetto militare presso l’ambasciata siriana, membro del partito Baath. Quando il “signor Kamel” decide che è tempo di tornare in “patria”, parte accompagnato da calorose e lusinghiere raccomandazioni per le autorità di Damasco. Dopo un altro soggiorno in Israele, alla fine del 1960 parte per l’Italia e il giorno di Capodanno s’imbarca a Genova su una nave diretta in Siria. Si stabilisce a Damasco e, grazie alle credenziali argentine, frequenta personalità del Governo, gerarchie militari, soprattutto i membri del partito Baath. Da quel momento dalla capitale parte, in direzione di Tel Aviv, un flusso di informazioni preziosissime sulla politica interna siriana, sulla preparazione militare, sulla situazione economica.
L’8 marzo 1963 a Damasco prendono il potere gli amici di Eli Cohen: Salah ed-Din el-Bittar e l’amico di Buenos Aires, Generale El-Hafiz.
Cohen partecipa a riunioni di altissimo livello, sa stare al suo posto, gli amici apprezzano la sua discrezione, i suoi suggerimenti. Il Presidente lo vuole al suo fianco e Cohen sale la scala gerarchica, fino ad assumere il ruolo di “numero tre” del regime siriano. L’agente israeliano entra così a contatto diretto con il “sancta sanctorum” dei segreti siriani che regolarmente vengono “letti” dal Mossad nei modi più disparati, ma solitamente con trasmissioni radio criptate. Molte di queste informazioni, ancora oggi, sono “top secret”. Si ritiene che, oltre al dispositivo di Damasco sulle alture del Golan, Cohen abbia trasmesso a Tel Aviv lo stato di preparazione e gli schemi operativi delle brigate corazzate e i codici di comunicazione dei piloti dell’aviazione militare siriana.
Tutto fila a meraviglia, fino all’inverno del 1964. In una foto pubblicata da un giornale siriano che parla della visita alle alture del Golan di due ministri, in compagnia di Tsa’abet, gli agenti del Servizio segreto egiziano riconoscono l’ebreo sospettato per le bombe del 1954 e rilasciato per mancanza di prove. Nello stesso tempo, l’Idarat al-Mukhabarat al-Amma (Direttorato Generale dell’Intelligence) di Damasco scopre che una radio trasmittente opera dalla capitale. Le trasmissioni sono intercettate, ma sono criptate e non leggibili; inoltre sono così brevi che non è possibile trovare la trasmittente e arrestare l’agente straniero che la usa.
Nel momento del bisogno, gli amici sono sempre pronti a dare una mano e così Mosca invia in Siria una squadra di “bonificatori”. Il 24 gennaio del 1965 viene individuato l’edificio dal quale partono le trasmissioni e gli agenti del Servizio di sicurezza siriano fanno irruzione nell’abitazione dell’“intoccabile” Tsa’abet, appartenente alla Nomenklatura del partito e del Governo.
Eli Cohen in quel momento sta trasmettendo un messaggio diretto al Mossad, non si rende conto subito di essere perduto, incredulo che un’irruzione sia avvenuta proprio nel suo appartamento. Appena diffusa la notizia, rompendo la prassi del silenzio, Tel Aviv ammette pubblicamente che Tsa’abet è in realtà il suo agente Eli Cohen. Attraverso contatti informali e segreti propone uno scambio con agenti arabi catturati in Israele.

 

Eli Cohen durante il processo
Eli Cohen durante il processo

Ma lo smacco subìto è troppo cocente, scuote la base stessa del regime. Damasco non ha alternative: la punizione sarà esemplare. Per Eli Cohen l’accusa è di alto tradimento, il processo è veloce e la conclusione scontata: condanna a morte. Gli appelli di alcuni Governi occidentali e perfino del Papa rimangono inascoltati. Il 18 maggio 1965, illuminato dai riflettori, filmato dalle telecamere e dalle cineprese, Eli ben Shaul Cohen sale sul patibolo eretto nella Piazza dei Martiri di Damasco.

Due anni dopo, utilizzando le informazioni di Cohen l’armata israeliana inchioda e semidistrugge le truppe di Damasco. È quantomeno singolare che in due anni la Siria non abbia cambiato i piani militari e la relativa organizzazione. Evidentemente, la penetrazione era stata così profonda da rendere impossibile percepirne tutta la portata e procedere a un rapido cambiamento dell’intero dispositivo.
Eli Cohen è entrato nella leggenda ed è un eroe nella memoria e nei cuori di tutti gli israeliani. La città di Bat Yam, dove risiedeva la sua famiglia, gli ha dedicato una piazza. Il Direttore del Mossad dirà di Cohen: «Era un puro idealista, aspirava sempre a qualcosa di più, andava sempre più in là degli altri». Mai il capo di un Servizio segreto aveva esaltato così un suo agente caduto sul campo.
Forse, fu proprio quell’andare “sempre più in là degli altri”, unito a un eccesso di sicurezza, che gli derivava dalla posizione di vertice raggiunta, che portò Eli Cohen al patibolo, facendolo entrare nella leggenda dello spionaggio.

* pubblicato sulla rivista Gnosis, 2/2009