Ebrei italiani: facciamoci conoscere

Opinioni

 

Procede speditamente, anche se in mezzo alle polemiche, il progetto di Moked, il mensile della comunità ebraica italiana per parlare con il mondo esterno e con le istituzioni

Prove generali per parlare alla società italiana. La giunta dell’Ucei (Unione delle comunità ebraiche italiane) ha deciso, in occasione della campagna dell’otto per mille, di stampare circa 100mila copie di un numero unico di giornale destinandolo agli opinion leader del nostro Paese e prefigurando di fatto quello che dovrebbe essere un mensile nazionale ebraico in programma per il prossimo settembre. Vivace se non aspro il dibattito nella comunità ebraica forte, nel nostro Paese, di almeno 35mila iscritti (ma la popolazione ‘allargata’, compresi coloro cioè che non sono iscritti ufficialmente, tocca le 50mila unità).
Formato tabloid, 40 pagine, periodicità mensile, Moked, (Messa a fuoco) è il nome deciso per la testata. Le dimensioni delle comunità sono molto diverse. Due da sole, Roma (15mila persone) e Milano (7mila), raccolgono quasi il 70% di tutti gli ebrei italiani. E proprio queste due comunità vantano da più di sessant’anni due testate storiche, Shalom diretta da Giacomo Kahn e il Bollettino della comunità ebraica di Milano diretta da Fiona Diwan, sulla cui sorte molto si è discusso fino a temerne la fine. Giacomo Kahn ha polemicamente offerto le proprie dimissioni, mentre Fiona Diwan ha fieramente ribadito il ruolo centrale per la comunità ebraica milanese del Bollettino da lei diretto.

Direttore responsabile di Moked di cui è già pronto il numero zero sarà Guido Vitale, attuale coordinatore del dipartimento Cultura e informazione dell’Ucei. La redazione prevede anche l’assunzione di quattro o cinque giovani praticanti su tutto il territorio nazionale, il progetto grafico è di Giandomenico Pozzi ed è stato rivisto da Cinzia Leone.

“Vorrei sottolineare che si tratta ancora e solo di un progetto”, spiega pazientemente il presidente dell’Ucei, avvocato Renzo Gattegna. “Qualcuno ha dato per scontato una decisione che scontata non è affatto. Le comunità devono discutere e poi, semmai, approvare. E comunque nessuno ha mai parlato della chiusura di testate storiche dell’ebraismo italiano. Anzi. Si potrebbe semmai pensare a una sinergia tra la testata nazionale e quelle locali, che continuano a costituire un patrimonio prezioso per tutti coloro che vivono nelle rispettive comunità. Certo, a noi è parso giunto il momento di dare voce all’ebraismo nazionale italiano e di farlo parlare con il mondo esterno, con la società civile, con le istituzioni dello Stato”. Perché, in effetti, questo sembra essere il problema che ha mosso l’iniziativa. Gran parte dell’otto per mille che ottiene l’ebraismo italiano proviene non tanto da ebrei quanto da simpatizzanti con l’ebraismo.
Gli ultimi dati parlano di 3 milioni 767mila euro, che però sono poca cosa rispetto a quanto riescono a portare a casa i protestanti (solo i valdesi hanno ricevuto, dai redditi del 2000 ripartiti nel 2004, 4 milioni 5l3mila euro).
C’è poi, e soprattutto, il bisogno di interloquire con il mondo non ebraico, far conoscere le proprie ragioni e le proprie ansie con una voce che sia riconosciuta, che sia prestigiosa e che copra tutto il territorio nazionale.

“Nella società italiana manca un organo ebraico autorevole nazionale che esprima la cultura, le tradizioni e i valori di cui siamo portatori”, sintetizza Gattegna.

Molte le firme qualificate che hanno dato il proprio assenso e offerto la propria collaborazione: dalla storica Anna Foa alla traduttrice e scrittrice Elena Loewenthal Foa, dal rabbino capo Riccardo Di Segni a Ugo Volli, da Giorgio Israel a Vittorio Dan Segre e tantissimi altri. Tra questi anche Sergio Della Pergola, stimatissimo demografo dell’università ebraica di Gerusalemme, che in un suo recente intervento ha ricordato che fin dagli anni Sessanta si era discusso il problema della stampa ebraica in Italia, in particolare la sua frammentazione fra venti testate, quasi tutte a limitata diffusione locale. “Chi ricorda quei tempi”, dice il professor Della Pergola, “sa che le necessità e le sfide sono oggi enormemente più complesse in una società inondata dall’informazione. Il collettivo ebraico è impegnato su più fronti, nel mondo e in Israele, non necessariamente unanime su tutto, ma ancora fondamentalmente solidale nella difesa dei propri diritti civili e della propria cultura”. E aggiunge: “Chi ha visto il ‘numero zero’ del nuovo giornale ebraico pensa che esso offrirebbe un salto di qualità nell’immagine e nell’approfondimento, in grado di competere in modo più efficiente e aggressivo con le forze della disinformazione, della contestazione, e anche della violenza fisica che ci circondano”.

A difendere strenuamente il ruolo della stampa locale scende in campo Fiona Diwan, sostenendo che ‘il Bollettino e Shalom sono due giornali che da decenni sono lo specchio di una realtà comunitaria, uno strumento di identificazione e un collante delle comunità, che se non avessero questi giornali sarebbero divise in tanti gruppi etnici”. E per dar forza ai suo ragionamento, Diwan, che da tre mesi dirige il Bollettino milanese, ricorda il recentissimo restyling della testata con collaboratori autorevoli come i giornalisti Aldo Baquis, Giorgio Raccah e Renato Coen. Il Bollettino, 4.500 copie, ospita ora interviste a personaggi della politica e della cultura, si occupa di società e costume, racconta gli ebrei della diaspora in posti inimmaginabili, come in Cina e nella Polinesia francese, ricostruisce microstorie ebraiche inserite nella grande storia del popolo di Israele.

Ad assicurarle il convinto sostegno agli sforzi e al futuro del giornale da lei diretto sono intervenuti di recente il presidente della comunità ebraica milanese Leone Soued e il consigliere con la delega alla comunicazione Yoram Ortona. Ma gli animi sono ancora percorsi da qualche preoccupazione. A settembre, forse, si riuscirà a placarli.