Raffaele Cantoni, un ritratto

“Me lo ricordo come un dirigente sempre pronto ad agire in prima persona., a correre là dove la sua presenza era richiesta, capace di urlare se gli altri non capivano al volo le sue intenzioni o di cavalcare una Lambretta per andare da Alcide De Gasperi, allora Primo Ministro. Semplicità e rapidità d’azione, unite a un cuore grande e sempre disponibile”.

Più di molte parole, le immagini conservate nella mente, come flash istantanei, possono restituire con integrità e vivezza la personalità di qualcuno che non abbiamo conosciuto. A maggior ragione se poi la persona in questione è stata tanto attiva e anticonformista da avere vissuto molte vite in una. Tradurre in parole la vulcanica vicenda di Raffaele Cantoni è impresa complicata e affascinante. Lo storico Sergio Minerbi, amico e collaboratore del presidente dell’Unione, lo ha fatto nel libro Un ebreo fra D’Annunzio e il sionismo: Raffaele Cantoni, la cui terza e ultima ristampa è stata recentemente curata dall’Ose, in occasione del cinquantesimo anniversario dalla ricostruzione della Casa al Mare “Lazzaro Levi” di Caletta di Castiglioncello, fondata nel 1960 da Cantoni stesso. “L’idea di scrivere la biografia di Raffaele Cantoni non fu mia, ma di Umberto Nahon, Gualtiero Cividalli e Giorgio Romano – dichiara l’autore – i quali avevano cominciato a raccogliere del materiale. Io subentrai e volli consultare diversi archivi, come l’Archivio Sionistico di Gerusalemme, l’Archivio dell’Unione delle Comunità a Roma e l’Archivio Centrale dello Stato. Nel libro, fra i documenti, ho cercato di inserire testimonianze di persone che avevano conosciuto Raffaele, ma non fu sempre facile. Alle volte, qualcuno mi raccontava degli episodi concernenti Cantoni che a prima vista sembravano impossibili ma che, poi, si dimostravano veri. Parafrasando il titolo di un libro francese potrei dire che la realtà talvolta oltrepassa il romanzo. Questo è tanto più vero per un personaggio imprevedibile come fu Cantoni”. La vita del presidente dell’Ucei, inserita nel quadro degli eventi storici che vanno dagli anni Dieci alla fine degli anni Sessanta, è una collezione di decisioni ferme, di coinvolgimenti in esperienze estreme, di rischi presi per coscienza e convinzione, a partire dall’arruolamento volontario nella Grande Guerra e nell’impresa di Fiume, subito abbandonata alle prime avvisaglie di odio antisemita. Spostatosi su posizioni antifasciste proclamate con convinzione e senza mezzi termini, nel 1930 Cantoni fu deferito al Tribunale Speciale. Rilasciato, iniziò a interessarsi attivamente alle questioni ebraiche, prima collaborando con la Comunità milanese e, dopo l’avvento di Hitler al potere, mettendosi in prima fila nell’assistenza agli ebrei profughi tedeschi riparati a Milano.

Gli innumerevoli episodi raccolti e riportati da Minerbi nel libro sono la testimonianza vivida di un uomo veloce all’azione e arguto nel trovare su due piedi soluzioni giuste, doti che lo renderanno il candidato ideale alla guida della Comunità nel dopoguerra. Dalla seconda metà degli anni Trenta, il profilarsi dell’antisemitismo di Stato e le minacce di espulsione aggravarono la posizione dei profughi e resero evidenti i pericoli che incombevano sugli ebrei italiani.
Di fronte alla disorientata cecità di molti dirigenti delle maggiori Comunità, Cantoni sostenne e promosse con forza l’Alyà Bet, pronto a infervorarsi davanti alle obiezioni dei molti che ancora tardavano a comprendere una realtà ormai certa.
Nel 1938 fondò il Comasebit (Comitato di Assistenza per gli Ebrei in Italia), chiuso dai fascisti, nel pieno della sua febbrile attività, già l’anno successivo. Senza perdersi d’animo, Cantoni organizzò un’assistenza clandestina presso la sinagoga di Milano, poi Delasem (Delegazione di assistenza agli Emigranti Ebrei), grazie alla collaborazione del Rabbino Capo Castelbolognesi e di molti volontari, fornendo mezzi di sostentamento e biglietti per l’emigrazione ai circa 2 mila profughi presenti nel capoluogo lombardo.

Con l’ordine di internamento del giugno 1940, Cantoni fu confinato nelle Marche, nel campo di Urbisaglia, riuscendo, dopo vari spostamenti, a essere trasferito a Firenze per problemi di salute. Lì, nonostante la ferocia dell’occupazione nazista, organizzò, insieme ad altri coraggiosi collaboratori, l’assistenza ai profughi che affluivano dal Nord sempre più numerosi.
Tradito da un collaboratore delle SS, Cantoni fu arrestato nel novembre 1943. “Gli ebrei razziati da Firenze – spiega Minerbi – ai primi di dicembre furono tradotti a Verona su un treno passeggeri e da lì deportati in vagoni piombati ad Auschwitz-Birkenau. Su circa 600 persone, ne tornarono 3, mentre Cantoni riuscì a fuggire. A un rallentamento del treno nei pressi di Padova, il coraggio e la spericolatezza dell’ardito di guerra e del volontario fiumano riemersero ed egli non ci pensò due volte a tentare la sorte fuggendo, anche a costo di morire”. Ancora più incredibile è quel che Cantoni decise di fare dopo essersi gettato dal treno. “A Padova, cercò un amico che gli desse qualche soldo – prosegue l’autore – e corse a prendere un treno per Milano, precipitandosi a dare l’allarme, raccontando ciò che era accaduto a Firenze. Senza pensare a salvarsi, lui, che era forse l’ebreo più segnalato e ricercato d’Italia, si recò nel luogo più pericoloso”. Dopo avere allertato diverse comunità del Nord Italia in prima persona e grazie a un’efficace rete di contatti, Raffaele riuscì a fuggire in Svizzera a fine dicembre. “Dopo essere uscito dai campi, si prodigò per salvare ebrei dall’Italia e per la loro sistemazione e, senza dimenticare il proprio sionismo, pensò a porre le basi del futuro assetto dell’Ebraismo italiano nella nuova Italia che andava sorgendo sulle ceneri del Fascismo”.

Verso Erez Israel

Giunto a Milano a precipizio il 25 aprile, Cantoni non esitò a servirsi delle sue conoscenze per riattivare le Comunità, ricostruire i templi distrutti e riaprire le scuole.
Nominato commissario straordinario alla guida della Comunità milanese, Cantoni fu l’uomo del momento. “Egli ottenne la sede di via Unione grazie ai suoi legami con gli ex partigiani del Partito Socialista che avevano assunto importanti cariche a Milano”, aggiunge Minerbi. “Via Unione divenne una tappa obbligata per i profughi appena arrivati in Italia che trovavano ricovero e poi venivano smistati fino al lontano Sud, in attesa della sospirata partenza per Eretz Israel. Cantoni fu instancabile nel tentare di risolvere gli innumerevoli problemi che si ponevano agli ebrei che tornavano finalmente alle loro case, talvolta trovandole occupate. Da Milano la nomina a Presidente dell’Unione delle Comunità il 26 marzo 1946 arrivò come del tutto naturale. Finalmente arrivava un Presidente che era pronto a occuparsi di tutto: le scuole ebraiche e i bambini, i preparativi per l’Alyà clandestina, le cure mediche e la stampa per la Comunità”. Nello stesso periodo, contribuì alla nascita di un comitato dell’Ose in Italia e di corsi professionali della Ort per i giovani ebrei di tutta Italia. Cantoni e il Consiglio dell’Unione si batterono affinché la Costituzione sancisse la parità dei culti, speranza delusa dalla riconferma del Concordato del 1929. Da fervente sionista qual era sempre stato, Cantoni si spese per raccogliere fondi in Italia per il nascente Stato d’Israele, moltiplicando i contatti per mantenere saldi i rapporti con le maggiori organizzazioni ebraiche e favorendo gli scambi culturali per gli immigrati e per le nuove generazioni. “Nel 1947, si badi bene alla data”, aggiunge Michele Sarfatti, direttore del Cdec “durante una seduta del Consiglio dell’Unione, Cantoni sottolineò la necessità di scrivere un libro che raccontasse la persecuzione degli ebrei in Italia. Quando un dirigente si preoccupa di mettere nero su bianco un capitolo così recente e difficile della storia della propria comunità, intende guardare al futuro con una coscienza chiara del passato, elemento imprescindibile per capire quale direzione prendere”. Con il passato preso per mano, Cantoni visse il presente lavorando per migliorare il futuro, tanto da precorrere i tempi in diverse occasioni. Fu l’uomo adatto al momento della ripresa e della rinascita, ma fu anche l’uomo giusto nel momento del pericolo. Una vita vissuta in trincea. Un carattere burbero e spesso scomodo. Energico, generoso. Ma forse proprio per questo, incapace di accettare mezze misure per ottenere ciò che spettava alla propria gente. In definitiva, un uomo decisamente fuori dall’ordinario.